mercoledì 9 novembre 2011

Dopo gli Ossi


Nei nostri licei Ossi di seppia di Montale continua a essere l'ultimo libro di poesia preso in considerazione. E' possibile che si legga qualche altra lirica del periodo, ma è estremamente difficile che si analizzi più o meno compiutamente una raccolta pubblicata dopo gli anni Trenta del secolo scorso. Le stesse poesie di Montale di Satura o dei libri successivi sono quasi completamente ignorate.
Gli alunni ne ricavano l'idea che dopo gli Ossi, tutt'al più dopo Le occasioni e La bufera , non è stata scritta nessuna opera poetica che valga la pena leggere e studiare, o che la poesia sia qualcosa che ha a che fare con il passato. E' così che il libro di esordio di Montale, la cui prima edizione risale al 1925, cioè a quasi 90 anni fa, risulti agli occhi dei nostri studenti (naturalmente di quelli più curiosi e colti che si pongono il problema) uno degli esempi di poesia più vicini nel tempo.
Esiste un pregiudizio nei confronti della poesia: che non si possa dire tale, se non è passato almeno qualche decennio a decretarne il valore. Se non appartiene ad un'epoca a noi distante, che ne abbia permesso in qualche modo la sedimentazione, non si sa se chiamarla poesia. Ne consegue, agli occhi di una gran parte dei lettori, che non esiste una poesia dei nostri giorni che abbia il diritto di essere definita con questo nome.
A nessuno verrebbe in mente di dubitare che dopo La coscienza di Zeno (1923) o Uno, nessuno e centomila, che esce a puntate su “La fiera letteraria” dal dicembre del 1925 al giugno dell'anno successivo, la narrativa italiana abbia prodotto opere di qualche valore. Anche gli studenti meno partecipi alle sorti delle patrie lettere conoscono almeno un paio di romanzi di Calvino e hanno avuto dalla scuola notizie di Gadda e Pavese, e forse di Pasolini. Molti hanno dovuto affrontare il compito, più o meno gradito, di leggere un romanzo di Bassani, di Elsa Morante, di Buzzati, di Pratolini. I nostri ragazzi sanno chi sono Ammaniti e la Mazzantini, perché qualche loro opera è arrivata nelle loro mani, tramite la biblioteca scolastica o allungata dalle solleciti raccomandazioni di un insegnante. Quasi tutti però ignorano il nome di un poeta che abbia pubblicato il suo primo libro dopo il 1960. Cinquanta anni fa.

7 commenti:

  1. In realtà, il problema è molto più grave: molti INSEGNANTI non conoscono poeti come Zanzotto, Caproni, Bertolucci, Luzi, Fortini, Giudici, Sereni; non conoscono le loro opere, e spesso nemmeno i oro nomi. E stiamo parlando di autori nati negli anni '10 o '20 del secolo scorso, le cui opere principali sono uscite negli anni '40, '50 e '60 e che sono ormai entrati nel "canone" del Novecento italiano.
    Di Milo De Angelis, Valerio Mgrelli, Maurizio Cucchi, ecc. ecc., meglio non parlarne nemmeno (e parliamo comunque di autori che hanno ormai abbondantemente passato la cinquantina).

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  2. Pienamente d'accordo. Aggiungerei comunque diversi altri nomi di "sconosciuti". Il mio intervento intendeva proprio sollevare questo problema.

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  3. è esattamente così, ed è questo uno dei motivi per cui la poesia risulta una roba indigeribile, la scuola fa di tutto per non farla amare prima di tutto con la coercizione, una cosa per obbligo difficilmente risulterà gradita, poi con i metodi di studio: commenti, parafrasi, trascrizioni in prosa, che significa snaturare la poesia, infine con la lontananza, la distanza temporale e mentale dai nostri giorni

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  4. Fede e poesia non s'insegnano e,forse,si stanno smarrendo entrambe,per lo stesso motivo:la scuola è ,sempre meno,luogo di coinvolgimento e passioni.Ciò significa che i ragazzi non trovano terreno fertile per sviluppare la semplice conoscenza di queste tematiche e,quindi,di un'importante funzione umana,storico-sociale,in grembo alla società ed ai suoi valori etici.Una sorta esplicita d'individualismo centrato sulla sola apparenza superficiale e materialistica dell'ego e,la poesia, ha un suo ruolo ben preciso,che non può scendere a compromessi.

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    1. Ci siamo spesso chiesti perché la poesia, la più alta forma di comunicazione, l’unica che arriva direttamente al cuore, fosse così poco amata dai giovani; anche se, ad un primo impatto si è indotti a credere che essi stessi, magari per superficialità o scarso impegno, siano i maggiori colpevoli, una analisi più pacata e riflessiva ci induce a considerare che, forse, essi non sono altro che le vittime predestinate di una società che, plasmata dal “pensiero unico”, gli ha costruito addosso modelli comportamentali obbligati. Purtroppo, essi stanno vivendo un’epoca di grande degrado culturale, un’epoca in cui si è passati dalla civiltà dello “studio” a quella della “visione”, dalla civiltà della “lettura” a quella della “comunicazione mediatica globalizzata”; si allontano migliaia di chilometri dal posto in cui risiedono e si accorgono che non cambia assolutamente niente, gli stessi stili di vita, gli stessi consumi imposti dall’alto, gli stessi “brand” che hanno visto sotto casa; sono stati costretti a passare dalla serena razionalità del ragionamento deduttivo, riflessivo, alla impulsività del pensiero “lampo”; a tutto la risposta deve essere immediata, nel segno dell’efficientismo mentale!.. Ma una poesia ha i suoi tempi, é lenta, cerebrale, per apprezzarla bisogna leggerla più volte, magari declamarla ad alta voce per coglierne appieno l’armonia delle parole, il suono dolce dei versi che si susseguono in rima; anche l’ambiente deve essere adatto per poterla apprezzare; basti pensare a ciò che ci suggeriva Calvino in proposito: “ Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa……..Prendi la posizione più comoda, seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato…….sul letto o naturalmente dentro il letto…….distendi le gambe, allunga pure i piedi sul cuscino, su due cuscini….Togliti le scarpe prima……..Regola la luce in modo che non stanchi la vista….fa in modo che la pagina non resti in ombra….sta attento che non le batta addosso una luce troppo forte….cerca di prevedere ora tutto ciò che può evitarti d’interrompere la lettura……..” segue

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    2. Questi giovani, invece, hanno dovuto imparare a velocizzare il pensiero, a rispondere a test in pochi secondi, e se non lo fanno, forse non accederanno mai all’Università o non otterranno mai un posto di lavoro; se non sono in grado di dimostrare la propria cultura apponendo una croce sul quadratino di un test in cui gli viene chiesto chi ha vinto il festival di Sanremo o il giro d’Italia in un certo anno, non potranno aspirare a diventare insegnanti, medici o ingegneri! Insomma a queste vittime della sottocultura dilagante hanno inculcato il concetto che la cultura non è il frutto di uno studio costante, magari anche ,“ matto e disperatissimo”, ma una somma di informazioni per la maggior parte apprese dai mass media, che messe insieme e, una volta fagocitate nei loro circuiti neuronali, costituiscano il loro solo, esclusivo, bagaglio culturale; “l’ha detto il telegiornale o il tal programma” continuamente sentiamo dire; una notizia riferita nei tg o nel lavacro mediatico (assolutorio) di Vespa o una storia costruita ad arte, con falsi protagonisti, nel “lacrimatoio” della De Filippi, avvalorata sempre dal conforto di una claque prezzolata e plaudente a comando, acquisisce immediatamente il requisito della verità inconfutabile, come se ci trovassimo di fronte all’oracolo di Delfi o fossimo tutti ancora fedeli al motto della famigerata propaganda nazista: “ripetiamo una bugia cento volte, così essa diventerà realtà”! Tra l’altro, questi giovani sono ignorati anche dal potere politico, le vecchie scuole di partito che una volta selezionavano le più belle e fertili intelligenze, sono andate via via scomparendo; negli ultimi decenni sono diventate dei cast dove si veniva scelti non più per i meriti o per la conoscenza delle dottrine politiche e della letteratura, ma in base alle misure dei seni e del giro vita per le donne, e per i maschi dall’indice di flessibilità della colonna vertebrale non inferiore “ per statuto “ ai 90 gradi. E’ vero se la poesia, la cultura in generale, come un impulso nervoso percorresse i dendriti di ciascuno di noi e li collegasse ognuno in un circuito globale, allora sì, ci potremmo salvare! Ma allo stato attuale delle cose, non si può che non essere profondamente pessimisti; non ci resta che affidarci alla speranza! “O speranze, speranze; ameni inganni” diceva il nostro caro Leopardi.

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