lunedì 18 febbraio 2013

Leonardo Sinisgalli, la poesia, la geometria


Leonardo Sinisgalli è presenza fondamentale della cultura del secolo scorso, figura che andrebbe maggiormente approfondita, anche per il particolarissimo contributo che ha garantito alla letteratura del Novecento. Offrono un prezioso aiuto a inquadrare l'opera del poeta lucano i due volumi recentemente pubblicati e raccolti sotto il titolo Il guscio della chiocciola, curati da Sebastiano Martelli e Franco Vitelli, di cui parla Giuseppe Lupo in un appassionato articolo comparso ieri sulla Domenica da collezione, inserto del Sole 24 ore.
La ricerca di Sinisgalli, scrive Lupo, si posiziona “nel punto di massimo raccordo fra tradizione umanistica, Età dei Lumi e politecnicismo novecentesco”. La lingua di Sinisgalli è sempre alla ricerca dell'essenziale, impegnata nella definizione esatta, scientifica, del particolare, anche quando questo potrebbe sembrare del tutto irrilevante. Scambiato per ermetico, a mio avviso a torto, il linguaggio “si perde dietro al volo di una mosca o alla spirale di una lumaca”. In esso “la luminosa severità algebrica convive con i chiaroscuri di una modernità barocca”. Insomma il terreno fertile della poesia di Sinisgalli è “crocevia di codici e saperi”, luogo dell'intreccio e del dialogo tra poesia e matematica, avvertite entrambe come estremo desiderio di chiarezza e insieme metafora dell'universo.
Poeta e ingegnere, pensatore finissimo di rarefatta agilità e responsabile della comunicazione pubblicitaria per le più grandi aziende italiane, a suo agio nei brulli paesaggi rurali della Lucania così come all'interno degli uffici della Olivetti e della Pirelli e nelle strade ricche di storia e di architettura della Roma barocca, presenza forte senza essere invadente nelle “botteghe lucane dei fabbri e dei falegnami” e nelle principali gallerie d'arte, nelle redazioni di Domus e Casabella, di Civiltà delle Macchine, ma anche tra le scrivanie delle riviste di letteratura, Sinisgalli ha indicato una strada che andrebbe ancora di più esplorata in questa nostra epoca, così inquieta e così frammentata, così veloce nell'arricchimento tecnologico e povera e lenta nel fare interagire la tecnologia con il nostro patrimonio umanistico.
La materia di cui parla il poeta è costruita sul terreno dove crescono, alimentandosi a vicenda e a vicenda negandosi, la presunta concretezza della scienza e l'altrettanto ipotizzata immaterialità della poesia. Dall'incontro nasce una nuova fisica, un nuovo modo di catalogare il mondo. Così scrive Sinisgalli nella breve riflessione VERTEBRATI, INVERTEBRATI, contenuta in Horror Vacui: Sono vertebrati gli alberi, le foglie, i piedi, i cristalli, i muri, ecc. Sono invertebrati l'acqua, il fumo, le nuvole, la cenere, la polvere. E' la polvere che suggerisce l'idea di una forma assolutamente priva di sostegni”.
Tutta l'opera di Leonardo Sinisgalli si muove alla ricerca di una verità indefinibile e proprio per questo ancora più necessaria. Per raggiungerla non esiste nessun percorso percorribile, per immaginarla servono la precisione delle forme geometriche e le scansioni metriche proprie del linguaggio della poesia. In LA FORMA DELLA VERITÀ, ancora in Horror vacui, è detto: “La forma della verità non è l'uovo, e neppure un triangolo, neppure una foglia. Ma l'uovo, il triangolo, la foglia sono forme della verità. La sostanza della verità è unica: forse è la nostra necessità di esistere, la necessità di esistere di ogni cosa. Noi esistiamo in tutte le cose”.   

mercoledì 13 febbraio 2013

AL CUORE FA BENE FAR LE SCALE di Patrizia Cavalli e Diana Tejera (Voland, libro + cd)

Patrizia Cavalli

Quasi sempre conflittuale si è mostrato il rapporto tra testo poetico e musica leggera. Da una parte è ricorrente che i cantautori siano considerati poeti, a volte senza che abbiano nemmeno scritto le parole delle loro canzoni, dall'altra può accadere che i poeti tentino un approccio nel mondo della musica leggera, ma quasi sempre con aria circospetta e privi di quel tanto di afflato popolare che serve a farsi ascoltare dal pubblico della canzonetta. Sono numerosi comunque i poeti che saltuariamente hanno scritto versi per musica (addirittura anche Pasolini e Fortini, certamente Roversi per Dalla), così come quelli che hanno collaborato con musicisti (su tutti l'esempio di Giuseppe Ungaretti che compare in un disco di Vinicius de Moraes). Per un rapporto più intenso e profondo tra poesia e musica popolare bisogna però tornare alla canzone classica napoletana, ai tempi di Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo.
Un'operazione degna di nota è quella ora realizzata dalla poetessa Patrizia Cavalli e dalla musicista Diana Tejera: ne è nato il libro/cd Al cuore fa bene far le scale, frutto di un intenso periodo di collaborazione.
“Per me una canzone deve essere semplice, immediata, non banale – scrive la Cavalli in Pranzo domenicale, il delizioso raccontino in forma di dialogo che accompagna il volume – da poterla ricordare al momento giusto, come accade a volte con certe poesie... anche se poesie e canzoni, ci tengo a dirlo, non sono la stessa cosa...”
Il libro/cd, pubblicato dalla casa editrice Voland, ed in vendita nelle librerie, contiene undici testi di Patrizia Cavalli, in parte inediti, messi in musica e interpretati da Diana Tejera, con un effetto a tratti rassicurante, con la musica che asseconda le parole, a tratti dissonante, sempre comunque in grado di proporre una relazione significativa tra i versi, mai scontati, che mai abusano di quella retorica che è invece abitualmente presente nel trito panorama canzonettistico nazionale, e le note, che tendono a evitare il supporto didascalico, il semplice commento musicale, ma anche a non prevaricare, a lasciare lo spazio necessario all'ascolto delle parole. Ne nasce un percorso in cui poesie e musica viaggiano in parallelo, ma senza cercare mai la facile sovrapposizione (“la musica di Diana ha qualcosa di brechtiano – scrive Patrizia Cavalli - : asseconda la sonorità delle parole, ma con un distacco giocoso, senza immedesimarsi nel significato”). Il limite è rappresentato unicamente da un impasto musicale che non sempre riesce a restituire quell'insieme di tenerezza incantata, di suggerito e rinnegato candore, di spietata autoironia, di trasognata furbesca perplessità di fronte alle questioni del cuore e della vita più in generale, che caratterizzano da sempre, e in particolare nella stagione più recente, i versi della Cavalli.
Diana Tejera
La sorpresa viene dalla orecchiabilità di certe soluzioni e dai minimi scarti linguistici e musicali che suggeriscono scioglimenti semplici e insieme inaspettati. E' quanto avviene nella canzone che dà il titolo al libro/cd: “al cuore / fa bene far le scale / al cuore / ma se non fa le scale / al cuore / fa bene far l'amore / il cuore / qualcosa deve fare / che altrimenti muore / sì muore sì muore / il cuore... / non può sparire / non può dormire / se va in pensione / non è più cuore...”. Un piccolo trattato di filosofia amorosa in versi e musica, degno del De amore di Andrea Cappellano, una canzone interamente scritta dalla poetessa. “Ma mica l'ho fatta io – assicura -, si è fatta da sola, parole e musica, una sera mentre uscivo dal ristorante un po' ubriaca. Ho aperto la bocca in un gran respiro e quella era lì, bella pronta e confezionata. La cantavo andando per strada e molti si sono fermati ad ascoltarmi...”. E Al cuore la Cavalli non si è limitata a cantarla per strada, ma dà sfoggio delle sue abilità canore anche nel cd. Del resto, chi almeno una volta l'ha ascoltata recitare le sue poesie conosce bene le sue capacità interpretative e può facilmente immaginarne le doti melodiche. Devono pensarla allo stesso modo la Tejera e Chiara Civello, che accompagnano la poetessa nell'esecuzione.
Merito della casa editrice Voland aver reso possibile un'operazione che ha la capacità di liberare il prodotto musicale leggero dalla palude di testi troppo spesso privi di spessore e che insieme offre alla poesia una strada per scrollarsi di dosso la patina di polvere sotto la quale viene a volte mortificata. Brave Cavalli e Tejera ad affrontare l'incontro in maniera divertita e gioiosa, ma senza rinunciare alla forza del dialogo tra poesia e musica.


Pubblicato su Giudizio Universale

lunedì 4 febbraio 2013

Sinonimi e tranelli


Non bisogna credere troppo al Dizionario dei sinonimi e dei contrari, dico spesso ai miei alunni. La lingua vive di sfumature, si alimenta di incertezze, di piccole variazioni, pretende di significare per mezzo di minimi spostamenti di senso, di sottili fraintendimenti. Il termine sinonimi invece offre subito certezze. Una parola vale l'altra. Come in un mosaico, posso sostituire una tessera e il quadro d'insieme dovrebbe essere lo stesso, se non risultare più bello. Può succedere, certo, ma può anche accadere che spariscano chiaroscuri e venature. Dove auspicavamo soluzioni, si aprono tranelli, ci sorprendono improvvisi smottamenti.
Scrive Camillo Sbarbaro in Fuochi fatui: “Vi sono parole che i vocabolari danno per equivalenti e che io non confonderei. (…) Si eviterebbero ambiguità e, s'anche di poco, la lingua si arricchirebbe. Così la spuma non è la schiuma. La nuvola è leggera, un fiocco di bambagia; la nube, il suono cupo lo dice, è plumbea, minaccia temporale. La sottana è greve, tetra, è quella del prete, dell'ava; mentre la gonna è festosa, è una corolla capovolta”.
La lingua insomma si arricchisce, se si è in grado di muoversi, con rispetto ma anche con un po' di gusto della scoperta, tra significati contigui. In questi ultimi anni, nel gergo appiattito dei presentatori televisivi e dei commentatori sportivi, l'aggettivo importante viene usato con grande frequenza, spesso a sproposito e per significare cose alquanto diverse. Se viene definito importante, un politico potrebbe essere influente, ma anche autorevole; un avvenimento importante nella vita di un paese potrebbe configurarsi come memorabile, ma anche da dimenticare. Un tiro in porta è importante perché pericoloso o perché di grande potenza? 

venerdì 1 febbraio 2013

IL PROFESSOR FUMAGALLI E ALTRE FIGURE di Giampiero Neri (Mondadori)


E' un mondo animato da personaggi che si muovono lentamente, quello che si compone nelle pagine de Il professor Fumagalli e altre figure, di individui che vivono, senza grandi scosse, un'esistenza non segnata dagli affanni e dagli impegni frettolosi che la quotidianità impone, ai margini anzi del vivere quotidiano, pur senza essere emarginati; un mondo dove si rappresentano epifanie accennate, forse nemmeno veramente accadute, che nulla comunque aggiungono e nulla risolvono. Sono personaggi che riemergono dalle sacche della memoria, improvvisamente nitidi, o che si materializzano nella indeterminata consuetudine della strade percorse tutti i giorni, senza che nulla lasci intendere il perché della loro comparsa o possa evitare il ritorno nella nebbia che loro appartiene, con la stessa vaga improntitudine che ne ha segnato l'arrivo.
Giampiero Neri
Il poeta Giampiero Neri, classe 1927, dopo la prova di Paesaggi inospiti, e in sintonia con le precedenti raccolte, ci propone ancora un universo di avvenimenti piccoli, messi a fuoco con cura speciale dei dettagli. Il gusto per il particolare, l'accanimento con cui si disegna il gesto minimo, non preludono, come ci si potrebbe aspettare, ad un quadro di insieme risolutivo, ma tendono a suggerire che una soluzione manca, che oggetti ed eventi non hanno un posto fermo nella nostra ricostruzione, che rimane comunque inappagato il tentativo di ordinarli e spiegarli. Insomma, malgrado gli sforzi, non ci è dato capire il senso delle presenze che compongono la nostra vita, né dove portano le nostre azioni, dove il susseguirsi, spesso incauto, degli avvenimenti.
Il professor Fumagalli e altre figure è una raccolta di prose, se si escludono le poche poesie in versi peraltro già presenti in Paesaggi inospiti e che dunque col precedente volume sembrano voler segnalare un legame di continuità. Si tratta comunque di prose brevi e dall'evidente intento poetico, a cominciare dalla divisione in strofe e dall'andamento fortemente ellittico, che produce sempre una deviazione da ogni ipotesi di racconto lineare.
Nel mondo di Giampiero Neri infatti i movimenti sono impercettibili e sembrano avvenire senza corrispondere ad una volontà che li determini, aprono spesso voragini che alimentano il dubbio che non esista una composizione possibile e che nella realtà le assenze siano a volte più significative delle presenze; ci fanno crollare in precipizi in cui le certezze si infrangono contro l'evidente casualità dell'esistenza. E' quanto appunto suggeriscono i versi che concludono il volume, che insieme alla poesia posta ad inizio della raccolta compongono una sorta di cornice: “Di quella fontana stile Novecento / che doveva durare / oltre le nostre vite / si è persa la traccia / morta con la sua epoca breve. / Era ridente nella sua rotondità / spensierata all'apparenza, / finita chissà dove”.
I “paesaggi inospiti” che si delineano in questa raccolta sono spesso d'ambientazione cittadina, strade dove non ci si incontra o dove il silenzio prevale sulla comunicazione. Per esempio in una prosa si descrive il poeta che incrocia ogni sera un signore anziano, con il quale finalmente una sera scambia il saluto e poche battute di dialogo, fino a presentarsi per scoprire che anche l'altro porta il cognome Neri: “Non l'ho ancora rivisto, l'avvocato Neri. Volevo chiedergli qualche consiglio. Non so perché, mi sembra un uomo saggio. Ma qui a Milano basta girare l'angolo e non si conosce più nessuno e l'avvocato Neri, chi lo conosce?”.
Il linguaggio, sempre asciutto ed essenziale, ritrae paesaggi e personaggi di grande chiarezza, e riesce ad isolare il mistero, non per spiegarlo, ma per disporlo con grande e disarmata tranquillità dinanzi agli occhi del lettore.

(pubblicato su Giudizio Universale)