lunedì 27 agosto 2012

E se invece dei libri di testo


Appena finito il loro compito (al termine di un anno scolastico o di un ciclo di studi), il primo pensiero è quello di sbarazzarsene, semmai ricavandone un qualche godimento. Così fino a qualche anno fa si organizzavano dei falò, oggi più concretamente ci si impegna nel tentativo di metterli in vendita, sforzo quasi sempre disperato comunque faticoso al pari di quello che fu il fervore nell'acquisto. E' questo immancabilmente il destino dei libri di testo, compresi quelli di letteratura. A nessuno però appena sano di mente verrebbe in mente di dare alle fiamme Il fu Mattia Pascal o di fare a pezzi, subito dopo la lettura, la pagina che contiene L'infinito di Leopardi.
E' allora del tutto lecita, e anzi appare quasi necessaria, la domanda che si pone Francesco Piccolo, sulla Lettura del Corriere della Sera di ieri, e che insieme a lui ci poniamo tutti: ma serviranno davvero, questi libri di testo?
Diciamolo con franchezza: i libri di testo (vogliamo partire dalle antologie della letteratura italiana? bene, partiamo pure da loro) sono pesanti, ingombranti, costosi, solitamente mal organizzati, confusi, ripetitivi. Se ne utilizza solo una minima parte, essendo il resto superfluo , almeno nei piani e nelle possibilità dell'insegnante e dei ragazzi che hanno a che fare con quel volume.
La letteratura è fatta di testi: perché non rivolgersi direttamente a loro, con l'apporto di qualche agile strumento critico? I libri di cui si parla a scuola sono oggi in gran parte scaricabili gratuitamente dal web e sono a nostra disposizione in qualsiasi biblioteca. Perché non tentare un uso combinato delle due risorse, così da evitare anche il frainteso che la letteratura è l'insieme di testi antologizzati, che vanno dunque studiati (anzi ne vanno studiate le interpretazioni che qualcun altro ci suggerisce) e non letti?
Verrà obiettato che gli oggetti che formano lo studio della letteratura sono in gran parte gli stessi (Dante, che so, Machiavelli, Manzoni), e se dunque i libri di testo hanno dato buoni risultati fino ad ora si può continuare ad usarli senza eccessivi problemi, avendo semmai solo l'accortezza di scegliere quelli più adeguati ai nostri tempi. Ma si dimentica che si sta parlando di strumenti e gli strumenti appunto devono adeguarsi al cambiamento dei tempi. Il fatto che i libri di testo siano costruiti con modalità analoghe e proponendo sostanzialmente le stesse strutture di quelli in uso trenta o quaranta anni fa è la prova evidente della loro inadeguatezza e della loro scarsa utilità.
Mi piacerebbe dunque che le scuole (in particolare i licei) fossero dotate di un'aula della letteratura italiana, dotata di una piccola biblioteca cartacea e dell'immensa biblioteca web, con lavagna interattiva insomma, computer e quanto serve a che gli alunni interessati possano, anche a scuola, trovare sul web quanto in quel momento serve. E poi che le scuole fossero obbligate al wi-fi gratuito e che gli studenti fossero invitati a dotarsi di tablet oltre che di romanzi e libri di poesia, invece che di libri di testo.

martedì 21 agosto 2012

Le palme lungo il mare di Salerno






















Le palme lungo il mare di Salerno
che ammalate e poi decapitate
restano radicate in mezzi tronchi
senza più ciuffo, insomma grasse e sfatte
vecchie signore, languide matrone
senza testa, ridotte a vegetale,
io vado ad abbracciare, non morite
vi prego non lasciate il vostro posto
ad alberi più giovani, a dei fusti
volgari e supponenti, non pensate
a quelle signorine in tacchi a spillo
sempre eccitate e sempre innamorate,
che fino a ieri vivevano in vivai,
non vi arrendete al punteruolo rosso
che scava gallerie dentro la carne,
la vostra carne cadente e contegnosa,
i vostri tronchi in abito da sposa.  



giovedì 16 agosto 2012

Più libri, meno carcere


In Brasile i detenuti che leggono un libro al mese possono ottenere una riduzione della loro pena. Si tratta di un esperimento, per ora attuato in quattro case di detenzione. E' necessario che i detenuti scrivano, ad ogni libro letto, una relazione «con proprietà di linguaggio e accuratezza, dimostrando di averne compreso il valore e il senso». Ogni anno possono ottenere fino a un massimo di 48 giorni di libertà.
Credo che l'idea nasca dalla costatazione che la lettura di un libro renda senza dubbio migliori (oltre che scaturire dall'assunto, piuttosto retorico oltre che teorico, che la cultura produca libertà). Chi legge cresce moralmente, è meno disposto a fare del male, a sentire gli altri come nemici da combattere. 
L'esperimento è sicuramente apprezzabile e sarebbe bello se potesse estendersi al nostro Paese, semmai interessando anche altre categorie di persone, coinvolgendo cioè coloro che vivono a piede libero e variando di conseguenza la qualità degli abbuoni.
Per esempio, un calciatore che legga almeno un libro al mese si vedrebbe premiato con un calcio di rigore; un politico, con una certa quantità di voti alle prossime elezioni; un medico, con qualche giorno di vacanza in più; una presentatrice di reality show potrebbe andare a cena con Umberto Eco, invece che con Corona. Il vantaggio di un tale sistema riguarderebbe non solamente i lettori, c'è da supporre in gran parte poco abituali, ma tutti noi. Ascolteremmo infatti dai personaggi pubblici dichiarazioni meno superficiali e scontate e vedremmo migliorare la nostra condizione di vita, di fronte, tanto per dirne una, a professionisti più scrupolosi e attenti alle esigenze altrui.
Si potrebbero attribuire premi anche a quegli insegnanti che, svolgendo un mestiere per il quale si presuppone il possesso di determinate conoscenze, credono di non aver più bisogno dei libri o di non aver tempo da leggere. A quelli che dimostreranno di “aver compreso il valore e il senso” di quello che hanno letto, la possibilità di insegnare quello che sanno veramente insegnare, semmai con un aumento di stipendio.

martedì 14 agosto 2012

Mariapia Veladiano: valutare significa dare tempo per rimediare all'errore


Mariapia Veladiano sul quotidiano La Repubblica di oggi interviene con grande chiarezza sulla questione della valutazione scolastica, strumento delicatissimo e in ogni caso fondamentale nel processo di formazione delle nuove generazioni. La base da cui si sviluppa il ragionamento è costituita dai risultati positivi ottenuti dalla scuola del Trentino, dove non si possono esprimere valutazioni al di sotto del 4. La Veladiano propone una serie di considerazioni pienamente condivisibili, a cui rimando. Mi soffermo su un solo aspetto, che è poi l'inevitabile punto di partenza di chi voglia affrontare la questione: a cosa dovrebbe servire l'atto della valutazione? a cosa veramente conduce?
Valutare, dice la scrittrice, è uno dei compiti della scuola: “serve a capire se il passo di chi insegna è giusto, se chi apprende lo sta facendo, a certificare al mondo che un percorso è compiuto davvero”. Aggiungerei che, oltre al “passo” dell'insegnante, ogni seria valutazione mette in discussione anche il metodo e il modello di relazione con coloro che vengono valutati.
Avviene invece che spesso le valutazioni prescindano dall'obiettivo primario che l'istituzione scolastica dovrebbe porsi, che non è quello di giudicare con durezza, di colpire dove si manifesta la mancanza, ma di spingere gli studenti a procedere con attenzione e possibilmente con entusiasmo in un percorso che li trasporti nella vita adulta con un adeguato bagaglio di conoscenze e di competenze. I ragazzi crescono, hanno bisogno di imparare, non di essere mortificati, di capire che gli errori possono servire a migliorarsi, di avere a disposizione strumenti che permettano loro di verificare se quello che stanno facendo ed apprendendo è in sintonia con la visione del mondo che stanno costruendo. Hanno perciò necessità di inserire le valutazioni in un sistema giusto e condiviso. “A scuola - scrive la Veladiano - la valutazione incrocia tutto intero il tempo in cui i ragazzi esplorano ancora intatte tutte le loro possibilità, cercano conferme del loro valore, hanno paura di non trovarle. E' la formazione del sé. In cui ci vuole tempo, spazio per l'errore, e per rimediare all'errore”.
E più avanti: “la scuola deve sempre sapere che la vita sorprende, che tutto può accadere nel bene e nel male”.
Mi viene in mente a questo proposito un passo del romanzo Riportando tutto a casa di Nicola Lagioia. 
“... all'epoca Puglisi era di una timidezza sconcertante; uno di quei ragazzi che faticano moltissimo a ingranare e ne fanno una tragedia incomunicabile. Faticano a ingranare nella vita (il primo vero bacio lo danno di solito a vent'anni) e per motivi che nessuno può comprendere faticano a ingranare negli studi. E' come se la loro intelligenza si chiudesse, la loro sensibilità fosse spartita con precisione millimetrica tra cariche positive e negative, per cui l'impasse diventa la loro croce naturale, e rischiano – come Puglisi faceva ogni volta che veniva interrogato, e a ogni interrogazione faceva scena muta – di pisciarsi addosso quando anche la madre di tutte le domande cattive (“Sai almeno come ti chiami?”) inizia ad essere inghiottita dal silenzio, domanda che uno dei tanti professori a un certo punto si lascia sfuggire, non per malvagità ma perché l'impotenza di certi ragazzi è così solida da diventare un sostegno perfetto per la fragile impotenza degli adulti”.
Siamo a Bari a metà degli anni Ottanta. Puglisi, assicura il romanzo, si farà poi strada nella vita. Quanti Puglisi ci sono ancora oggi nelle scuole d'Italia, quanti insegnanti si sforzano di concepire considerazioni spietate, sicuri che su questo terreno si giochi la loro rispettabilità e quella dell'istruzione che dovrebbero assicurare?
Anche oggi il rigore di certe valutazioni, la presunta oggettività, nascondono solo la “fragile impotenza” di chi è chiamato a valutare.

venerdì 3 agosto 2012

A quattro vincitrici nel gioco della scherma





Non sono molti i movimenti, sempre quelli
sulla pedana avanti e indietro, affondo
presa di ferro, eppure rarefatti
o consistenti diventano miraggio della grazia,
il volteggio dell'anima che fugge
lungo il braccio e vorrebbe mantenersi
infinita. Non sono sufficienti
il gesto delicato e pronto al balzo,
il deciso vigore trattenuto, l'improvviso
schianto, il disegno leggero
delle gambe, il pensiero
che mantiene e che fulmina, la schiena
lieve, che salta e scarta si contrae ritorna
in sintesi perfetta. Bisogna misurare la bellezza,
frenarla, non unirla al tramestio del tempo,
al magro sdrucciolare
dei giorni, all'ombra, alle inutili imprese.
Bisogna che resista
la giovinezza negli occhi e nelle braccia,
sia sempre il vento della leggerezza
nel muscolo che freme e va a bersaglio.

Per vincere occorre essere semplici e lontane,
cedere alla preghiera, all'emozione,
non fissare lo sguardo
sul presente che mette le catene
alle caviglie, pensarsi forma, solo vivo segno,
la muta intelligenza della danza, la nuvola
corretta in resistenza.
Le quattro vincitrici nella scherma
sono la gioia che abbiamo abbandonato, il finale
cantato a squarciagola, l'abbraccio immaginato
con gli amici.

Oggi che continua la vita, mi accontento
di guardarvi da questo tempo nostro
di mortali che avanzano e indietreggiano in pedana,
un po' più vecchi, più deboli all'assalto, da questo tempo
di parole che fuggono la vita, che si addormentano.
Venite voi, Elisa e Arianna e Valentina e Ilaria,
venite coi fioretti sorridenti, le maschere pensanti,
la sorpresa del braccio che accarezza,
a darci il cuore, a raccontarci il sogno,
a mantenere la fiaccola sospesa
ancora verso il cielo.