giovedì 9 febbraio 2012

Se Saviano legge Szymborska


La lettura di Roberto Saviano in televisione in prima serata di alcune poesie della Szymborska pare abbia prodotto l'effetto della vendita immediata di quindicimila copie dell'antologia La gioia di scrivere, pubblicata tre anni fa da Adelphi. E' una buona notizia, di fronte alla quale bisognerebbe essere meno sorpresi e dimostrarsi semmai in grado di comprenderne la portata.
Molti diranno, storcendo la bocca, che questo risultato è effetto della tv, che la poesia quando è tale può essere apprezzata solo da pochi (quali? perché proprio loro?), che Saviano (e dunque la Szymborska) ha potuto sfruttare l'effetto di spiazzamento che ha colpito il telespettatore, diventato senza preavviso un ascoltatore e possibile lettore di poesia.
Ma perché questo dovrebbe essere un problema? Perché continuare a confinare la poesia nei territori, che non le appartengono, della noia e dell'impopolarità? Chiunque abbia avuto modo negli ultimi anni di leggere poesie in pubblico senza dare ad intendere di essere il ministro di un rito per iniziati che ha bisogno di particolari conoscenze e di un'intensa attività di decodifica per essere compreso, si sarà reso conto che la poesia produce reazioni improvvise di risveglio dal torpore, un piacere tanto intenso quanto apparentemente ingiustificato. Quando riesce a parlare in una lingua comprensibile delle questioni su cui ogni uomo, anche il più sprovveduto, finisce almeno una volta nella vita per riflettere, la poesia sa farsi ascoltare anche da interlocutori che si vorrebbero distratti e distanti.
Provate a leggete (bene) a una platea di liceali una poesia di Sbarbaro, di Saba, di Caproni, della Cavalli o appunto della Szymborska, l'effetto è evidente: una quantità di bocche aperte, sguardi inaspettatamente interessati, silenzio da grande occasione. E poi la lettura genererà domande, richieste di coordinate, voglia di comprendere e di dire: una reazione a catena.
Allora la questione è: perché i volumi di poesia sono scomparsi dagli scaffali delle librerie, non sono mai esposti in bella vista o sono relegati nell'angolo più buio e triste? perché i primi a non credere nella poesia sono gli editori, che pure si impegnano a promuovere romanzi che, a volte, vendono così poco da sembrare libri di poesia? perché si leggono poche poesie ai giovani, che vengono messi nella condizione di credere che la poesia vada studiata invece che letta?
Insomma, perché la poesia non fa parte della nostra quotidianità?

1 commento:

  1. perché la poesia fa riflettere, fa pensare, fa porre domande; e buona parte dell'editoria non vuole che ciò accadda.
    parlo dell'editoria "blasonata".
    poi c'è pure quell'editoria "spacializzata" che non accetta che della poesia si parli se non in toni entusiastici, elogiati e di conseguenza (auto)referenziali.
    non si polemizza più su un verso brutto, un libro che non doveva essere pubblicato.
    tutto ciò allontana.
    del resto pure la prosa subisce le stesse regole.
    vende l'autore che fa cassetta ma non fa riflettere; i libri realmente belli che pongono domande non vengono manco nominati.
    credo che nelle librerie dovrebbero istituire uno scaffale apposito: NOIOSI. mi sa che qualche curioso in più andrebbe a vedere perché Sbarbaro, Saba, Magrelli e Insana figurano tra i "noiosi". come se la "noia" e lo "spleen" non facessero pensare.

    fabio michieli

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