In un
articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 2 ottobre a commento
del libro, bellissimo, di Anna Maria Carpi L'asso nella neve
(Transeuropa), Alfonso Berardinelli, con il tono sferzante di chi
vuole lanciare il sasso nello stagno ma non intende nascondere la
mano né ammette dubbi sulla serietà delle sue affermazioni, lancia
alcune provocazioni sulle quali chi si occupa a vario titolo di
poesia oggi in Italia avrebbe il dovere di riflettere. Innanzitutto
scrive Berardinelli che “per essere poetico, sembra che un testo
debba risultare poco leggibile o impossibile da leggere, perché se
un testo non si riesce a capire che cos'è, allora vorrà dire che
forse è poetico”.
In
effetti negli ultimi decenni molti libri di poesia parlano una lingua
gratuitamente oscura, dove lo stile, il senso della lingua, il ritmo
sono sostituiti dalla “elusione del significato”. Bisogna dire
che è una caratteristica spesso presente anche tra i libri
pubblicati dalle case editrici maggiori, quelle poche che ancora si
occupano di poesia. Si vede che il problema non è tanto di chi
scrive, o almeno non solo, ma anche di chi sceglie cosa va pubblicato
e letto, e di chi dovrebbe aiutare a farsi un'idea di come scegliere,
cioè i critici.
E
infatti Berardinelli suggerisce che “sebbene i poeti che hanno
preso altre strade non siano pochi, i professori di poesia, alleati
di ferro dei poeti che non sanno che scrivere, non si rassegnano a
restare disoccupati, e guardano con diffidenza chi scrive versi che
non hanno bisogno di spiegazioni per essere letti”.
Uno
dei pregiudizi più duri da estirpare nel rapporto tra poesia e
critica e tra poesia e lettori è proprio quello che nasce da una
presunta necessità della spiegazione del testo poetico. Ci si
avvicina a una poesia con l'idea (maturata innanzitutto sui banchi di
scuola, dove semmai si parla anche tanto di poesia ma non se ne legge
a sufficienza) che essa debba essere compresa al di là del suo senso
specifico, al di là di quello che più o meno direttamente intende
comunicare. Aspettiamo qualcuno che ci spieghi il vero significato
dei versi, un professore di poesia appunto, un traduttore, qualche
nota a pie' di pagina. E se ci sembra che la poesia ci parli senza
mediazioni, ci offra nell'immediato una storia, delle emozioni, una
lettura del mondo, allora ci chiediamo se abbiamo compreso male.
Forse non si tratta di poesia: troppo semplice.
I furbetti del quartiere, non hanno quartiere, si infilano dappertutto.
RispondiEliminae se non c'è un buco a disposizione se lo inventano e lo chiamano come vogliono, a volte persino poesia.
Ma non è obbligatorio cascarci.
Già, ragazzi. Sono d'accordo su quasi tutto, e quel quasi si riferisce all'ultima frase del commento di Valdo. Tu dici che non è obbligatorio cascarci, hai ragione, non è obbligatorio ma non lo è nemmeno portare i pantaloni con gli strappi fatti apposta, non lo è nemmeno guardare il Grande Fratello, non lo è nemmeno ....bè, inutile fare l'elenco.
RispondiEliminaLa moda è moda, in poesia come nel vestire come, ahimè, nel sentire e nel pensare. Ascoltiamo i professori di poesia come ascoltiamo gli altri professori, perchè pensare è difficile e rischioso.
In fondo è questo il "vivere" pericolosamente" che ci rimane, ed è tanto: pensare con la capa nostra (se mi concedi un po' di dialetto meridionalese).
Coraggio, non ci hanno azzittiti e non credo lo faranno mai.
"Alba de Felice" (ma solo su Facebook, per gli amici: susy)
La moda è moda, la poesia no.
RispondiEliminaNon è forse questo che fa la differenza ?
:)
Caro Giuseppe, sono passato a dare più di un'occhiata al tuo blog, come ti avevo detto. L'ho trovato davvero interessante.
RispondiEliminaCapisco le ragioni di Berardinelli perfettamente e posso anche condividerle, ci mancherebbe. Ma come tutti i discorsi provocatori, che ai fini della comunicazione sono ridotti all'osso e tendono al sillogismo, l'assunto di Berardinelli contiene qualche scoglio. A cominciare dal fatto che può essere tranquillamente rovesciato. Illeggibile uguale poetico? Perchè, leggibile invece sì? Se ci si dibattesse tra leggibile e illeggibile sarebbe tutto più semplice. Ma purtroppo non sta tutto qui, come ci insegnano le arti figurative. Non si fa qualche passo avanti senza correre qualche rischio in termini di "leggibilità", rischio che poi, se ha valso la candela, diventa parte di un nuovo modo di intendere, di interpretare. Il problema semmai sta, come dici tu, nel "gratuitamente oscuro", ma sta anche, all'estremo opposto, in quella poesia che io chiamo "confortevole" (ma l'idea non è mia, è di Schoenberg) perchè comodamente adagiata su temi, forme, contenuti, ego ecc. ecc., che sarà anche leggibile ma che lascia il tempo che trova, come il libeccio. Insomma, due diverse forme di gratuità, di maniera, di furbizia. E' vero quindi che gran parte della responsabilità ce l'hanno non tanto i professori di poesia (chi, quelli che fanno le parafrasi del Leopardi, come ai miei tempi?) quanto piuttosto i critici, e non si tratta certo di "spiegare" nulla, ma forse di aiutare a "capire" sì. Ma ce n'è in giro?
un caro saluto
Giacomo
http://ellisse.altervista.org
Grazie, Giacomo, delle tue parole. Comprendo le tue affermazioni e spero di essere riuscito a specificare meglio quello che intendevo dire con i post successivi.
RispondiEliminaLa semplicità è una dote. anche nella poesia.
RispondiEliminae la poesia non è una torre d'avorio, anche se a non poch* fa gioco trattarla così
Commento stringato ed efficace. Per quanto mi rigurada anche estremamente condivisibile.
Eliminala semplicità è un valore. E i valori sono il prodotto di una società che su essi si fonda.
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