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Sandro Penna sorridente in compagnia di Pier Paolo Pasolini |
Esiste nella poesia di
Sandro Penna un'attrazione verso la luce. Come se il poeta provasse
il bisogno di guardare persone e cose, i fanciulli e le presenze
della natura, sotto i raggi abbaglianti del sole, nel pieno della
luminosità di una giornata in cui l'aria stessa è fonte di
spettacolo (Sul molo il vento soffia forte. / Gli occhi hanno un
calmo spettacolo di luce”; “Entro l'azzurro intenso di un
meriggio d'estate / denso è il fogliame e assorto sotto il lucido
sole”: sono gli incipit di due poesie degli anni Quaranta). Penna
vuole vedere chiaramente, isolare gli oggetti prima di introdurli nel
verso, sembra mosso dalla necessità di essere abbagliato dalle forme
per conoscerle. In questo modo in effetti è come se gli oggetti si
presentassero ai nostri occhi per la prima volta: l'illuminazione
diffusa sorprende e inventa. Come nella lirica d'amore dello
Stilnovo, la luce rende possibile l'apparizione e introduce al
miracolo della presenza dell'oggetto amato, ma la presenza è
fuggevole e la luce costruisce la scoperta e prepara all'assenza.
Inoltre anche in Penna, come avviene nella poesia di Pascoli, la luce
sfuma i contorni e nel riverbero lascia intravedere fantasmi,
sottintende il mistero: se l'aria è “gemmea” non è detto che
sia frutto della stagione primaverile, l'apparenza (si
tratta pur sempre di un'apparizione) potrebbe nascondere tutt'altra
realtà, scoprendo “nere trame” e rendendo angoscioso e
lontano il cielo.
Come scrive Cesare
Garboli, nel sistema ossessivo che attraversa la poesia di Penna “c'è
una costante alternanza tra un'espressione panica, solare, luminosa
dell'io e una reintroversione, una regressione nell'infelicità e nel
mistero”.
Alla scoperta
luminescente della natura e del desiderio dell'amore che essa
contiene fa seguito repentinamente un senso di angosciosa rivelazione
che porta alla consapevolezza che luce e ombra sono inseparabili,
così come la gioia e il sogno conducono con sé un sentimento di
nostalgia e di rimpianto.
E' quanto appare evidente
in questa lirica tratta da Croce e delizia:
Amore, gioventù, liete parole
cosa splende su voi e vi dissecca?
Resta un odore come merda secca
lungo le siepi cariche di sole.
Ciò
che splende su amore e gioventù è la stessa forza che dissecca la
loro vitalità e che rende amara l'epifania, cupa l'illuminazione.
Il tono leggero e blandamente canzonatorio, lo scivolamento lessicale
che coniuga le dannunziane siepi cariche di sole con l'acre e
popolare odore della merda secca, rivelano l'impossibile permanenza
della luce: luminosità e tenebre convivono, così come l'amore e il
suo distacco.
Ancora
dalla stessa raccolta:
Sole con luna, mare con foreste,tutte insieme baciare in una bocca.Ma il ragazzo non sa. Corre a una portadi triste luce. E la sua bocca è morta.
Basta
uno scarto, il piccolo movimento di una breve corsa, e la felicità
sbanda, la realtà si impossessa nuovamente della vita e l'improvviso
miracolo di un'apparizione salvifica si perde nella “triste luce”.
La bocca desiderata diventa la manifestazione del rifiuto della vita
e dello smarrimento che ci domina.
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