Cosa faccio leggere ai
miei alunni? La domanda si ripropone ad ogni inizio d'anno
scolastico. Ogni volta, non so fornire una risposta che risulti
pienamente soddisfacente. Vorrei qualcosa di nuovo, che sappia far
capire ai giovani lettori, senza immiserirli, che la letteratura non
è solo roba di secoli fa, che parla anche a loro, ad ognuno di loro.
Mi sforzo, credetemi, penso e ripenso, chiedo consiglio. Ci metto
tutto l'impegno. Ma sulla scelta presto incombe lo spettro di
Alessandro Manzoni. Il suo romanzo l'abbiamo letto tutti tra i banchi
di scuola, nei cui programmi entra di prepotenza addirittura già
negli anni Ottanta dell'Ottocento. Le ragioni del successo
scolastico sono chiare: I promessi sposi è opera utile per
affinare lessico e sintassi e risulta un insieme pedagogico di rara
potenza: patriottismo, storia, valori religiosi e morali,
considerazioni sui rapporti di forza nella società, personaggi buoni
e cattivi su cui proporre sermoni edificanti, ecc. Insomma già alla
fine del XIX secolo il romanzo del lombardo irrompe sulle caute
mattinate scolastiche (insieme a Cuore di De Amicis, adatto ai
più piccoli e che resiste però solo fino alla metà degli anni
Sessanta del secolo scorso) per non più abbandonarle.

Lo spettro arringa con
toni severi. Le anime degli insegnanti (del purgatorio? ma mi sembra
di riconoscere qualche professoressa ancora in vita) mi squadrano con
sguardi truci. Una prof bassina, pallida quanto basta alle
circostanze, mi aggredisce: “E chi è poi questo Tabucchi? Avesse
almeno detto D'Annunzio!”. Io cerco di difendermi: solo per
quest'anno, dico a testa bassa, per provare, poi tanto lo so che
dovrò fare marcia indietro, assalito dai sensi di colpa e dalla
collera dei colleghi. Loro mi guardano sgomenti. Manzoni scuote il
testone: non approva.
Io la mattina dopo entro
in classe e dico subito ai ragazzi, così mi tolgo il peso, di
portare per la prossima lezione una copia de I promessi sposi.
“Ma ci aveva detto – azzarda la biondina al primo banco – che
avremmo letto altro”. “I promessi sposi bisogna
conoscerli” dico io convinto. “Ma non sono nell'elenco dei libri
di testo” si sente sussurrare dai banchi di fondo”. “Non
importa – concludo – a casa vostra o dei vostri nonni ce ne sarà
sicuramente una copia”.
Vaccinazioni obbligatorie
RispondiEliminaUn genitore desidera sempre che i propri figli crescano sani e forti. Allo stesso modo un insegnante si preoccupa che ai propri alunni non manchi niente di quanto necessario alla loro formazione, sia personale che culturale. Con questo presupposto non far leggere un autore della levatura del Manzoni equivale quasi a negare ad un figlio un vaccino contro la meningite o il tetano. Affronterà così il mondo esposto a maggiori rischi rispetto ai coetanei, guardato con sospetto dalla classe medica che caldeggia una profilassi a tappeto... Genitore irresponsabile, insegnante indegno! Con quale coraggio prendersi una tale responsabilità?
Ed eccoci a sottoporre i nostri ragazzi ad una prima dose di siero manzoniano (scuola media, conosco dei casi anche alle elementari), poi all'indispensabile richiamo nel biennio della scuola superiore, per non correre rischi e placare la coscienza. Certo notiamo a volte qualche reazione allergica: eruzione cutanea Lucia-indotta, febbre da esposizione prolungata a Don Abbondio...
Ma è per il loro bene! Più tardi ci ringrazieranno!
Non dico di voltare le spalle alla medicina ufficiale, ma di alleggerire la somministrazione. E di sostenere la ricerca di farmaci alternativi, che potrebbero rivelarsi altrettanto efficaci.
La pubblica salute ha fatto innegabili progressi in Italia negli ultimi cinquant'anni. E la pubblica istruzione?
Mi sono divertito a scrivere il mio breve testo, ma ancora di più a leggere il tuo commento, acuto, ironico e affilato. Chapeau!
EliminaComprendo pienamente il dilemma davanti al quale può trovarsi un insegnante nel dover proporre lo studio dei Promessi Sposi; il romanzo va certamente letto, ma sicuramente non nei tempi e nei modi in cui è stato forzosamente propinato ad intere generazioni di studenti fino al punto da farlo risultare odioso ai più. Bisogna poi anche considerare che la soggettività del giudizio sull’opera dipende in larga misura dal contesto temporale in cui ciascuno si è avvicinato a questo testo ed anche dalle proprie esperienze di vita, diceva Calvino: “le letture e l’esperienza di vita non sono due universi ma uno. Ogni esperienza di vita per essere interpretata chiama certe letture e si fonde con esse”; ora, sia per me che per i miei coetanei, avendo noi frequentato il liceo alla fine degli anni sessanta, quando, partendo dalla Francia, finalmente, anche l’Italia veniva investita dall’onda fragorosa del fermento rivoluzionario dei movimenti studenteschi, questo romanzo ha rappresentato un vero e proprio incubo! Ritenevamo lo studio forzoso di quest’opera assolutamente inattuale e senza un minimo riferimento alla nostra quotidianità! Eravamo convinti che essa rappresentasse il vecchio, il becero conservatorismo della cultura borghese, l’espressione di una didattica scolastica ormai superata e che volevamo a tutti i costi scardinare; la lontananza dalla realtà contingente di quel testo era, poi, abissale; mentre nel pomeriggio nelle riunioni studentesche, animati da forti ed ingenui desideri di ribellione e dalla convinzione, poi risultata vana, che la lotta potesse cambiare il sistema, si leggeva (con fatica) Marcuse, Sartre, la mattina in classe i docenti ci tormentavano con l’analisi del testo, verificavano se fossimo in grado di declamare le pagine che ci avevano obbligato a mandare a memoria, se i tratti psicologici di certi personaggi potessero trovare qualche riferimento nella realtà. Ma era chiaro che noi, che per la prima volta, in quegli anni, nel momento in cui cominciavano a cadere i primi tabù di fronte al bigottismo clericale imperante da anni e guardavamo estasiati le prime ragazze con minigonna e stivali, una Lucia Mondella con suo continuo affidarsi alle preghiere, ai voti e alla Provvidenza, quasi la detestavamo, sentivamo senz’altro più vicina alle nostre corde la povera Gertrude, anzi la ammiravamo, proprio nella misura in cui era stata vittima sacrificale dell’autoritarismo paterno! E poi quella concezione che con la fede tutto si risolvesse e che a tutto la Provvidenza mettesse rimedio era ormai fuori dai nostri schemi mentali; per noi quel messaggio del Manzoni era orripilante e fuori dal tempo! Mentre i bombardieri americani scaricavano tonnellate di napalm su inermi vietnamiti, ancora avremmo dovuto affidarci alla manzoniana virtù cristiana per eccellenza, la rassegnazione, cioè la completa fiducia nella Provvidenza per avere giustizia, uguaglianza e rispetto della vita umana? Mentre, nelle assemblee studentesche leggevamo Marx e la sua teoria sulla religione come “oppio dei popoli” e in sottofondo dai vecchi mangianastri si diffondevano le canzoni dei Beatles, che in quanto “gruppo” anch’essi rappresentavano nuovi fattori di socializzazione e di rottura con i modelli musicali del passato, avremmo dovuto rimanere, secondo il modello manzoniano,immobili e rassegnati e ripudiare la lotta nell’attesa della divina Provvidenza? O piuttosto impegnarci in una mobilitazione collettiva contro l’ordine esistente? Segue
RispondiEliminaA ben pensare un parallelismo con i nostri giorni, purtroppo negativo, lo possiamo estrapolare dal romanzo: il concetto della rassegnazione! Essa è diventata oggi il sentimento prevalente; il popolo subisce impassibile e perdona qualunque angheria, qualunque privazione; fra poco con quest’ultima fantasiosa operazione “cieli bui “ forse saremo tutti riportati al chiarore della luna di manzoniana memoria. Si leva forse qualche voce di protesta? Niente! Il popolo giace, lì, genuflesso e a capo chino incapace di qualsiasi reazione, forse adesso, come al tempo di Manzoni, sta attendendo, impassibile, la mano risolutrice della Divina Provvidenza! Mi sovviene, a questo proposito, la suddivisione categoriale della società che faceva Sciascia nel “Giorno della civetta”: ommini, mezz’ommini, omniculi, piglianculi e quaccquaraquà, ormai la categoria degli uomini è diventata quella pochissimo frequentata. Comunque, fatto salvo il valore storico e la bellezza discorsiva del romanzo che ha pochi eguali in letteratura, il problema che si pone è quello dell’adeguatezza e dalla modernità dei programmi scolastici e soprattutto della attualità dei testi scelti rispetto ai temi e ai valori della società odierna. Farid, il personaggio del romanzo breve di Margaret Mazzantini, “Mare al Mattino”, muore tra le braccia della madre, disidratato, le labbra spaccate e la pelle bruciata dal sole, mentre sopra un barcone tenta di raggiungere l’Italia; la madre, anche dopo morto, continua a cantare e a stringerlo al petto, non vuole che gli altri si accorgano dell’accaduto e possano costringerla buttare il corpo in mare; fatte le debite differenze tra il registro linguistico alto del Manzoni e quello informale, paratattico all’estremo limite, di Mazzantini mi chiedo che cosa può stimolare di più la fantasia e l’interesse di un quindicenne, la lettura di una pagina, sia pur bella che parla della peste e del lazzaretto o quella, anche se più modesta, che solleva una tematica che i giovani toccano con mano tutti i giorni o attraverso i mass media o mediante il contatto quasi fisico con “il diverso” a cui ci costringe questa società ormai multietnica ?
RispondiEliminaGrazie, Alfonso. Ho letto con molta attenzione e apprezzato il tuo scritto, così ricco di considerazioni che sento in gran parte mie. E' vero: per noi il romanzo di Manzoni è stato, visto anche il periodo storico in cui siamo cresciuti (io un po' prima di te, in verità), una specie di simbolo da combattere o forse un ostacolo da superare per raggiungere il traguardo della lettura di opere più vicine a noi e più stimolanti. E' anche vero che se siamo ancora qui a parlare di Lucia e della monaca di Monza ci sarà pure qualche ragione. Ed è vero d'altra parte che i ragazzi, se ben guidati, apprezzano ancora il romanzo manzoniano. Ma c'è anche dell'altro, come tu dici, c'è una narrativa più vicina al nostro mondo, a cui non si deve negare il diritto di cittadinanza scolastica.
EliminaCome scrivo nell'articolo, I Promessi sposi diventano testo canonico nelle scuole italiane già negli anni Ottanta dell'Ottocento. La prima edizione del capolavoro manzoniano è del 1827. Insomma ora a scuola potremmo almeno cominciare ad interessarci delle opere degli anni Sessanta del Novecento.