Sotto il titolo di Poesie
l'editore Fazi, in una elegante pubblicazione, raccoglie una scelta
antologica delle liriche di Claudio Damiani, che racchiude versi che
vanno dal primo libro Fraturno del 1987 ai più recenti
Attorno al fuoco (2006) e Sognando Li Po (2008), fino a
comprendere un gruppo di poesie inedite, riunite sotto il titolo di
Il fico sulla fortezza.
Gli esordi poetici di
Damiani risalgono ai primi anni Ottanta, quando il poeta partecipava
alle determinanti esperienze delle due riviste romane Braci e
Prato Pagano. Come scrive Marco Lodoli, nell'accorata e
intensa prefazione al volume, le due riviste “che oggi non si
potrebbero neppure immaginare per quanto erano fragili e profonde”
erano “voce di un piccolo gruppo di ragazzi che s'allontanavano
dalla furia cieca dei linguaggi astratti per ritrovare la dolorosa
dolcezza della lingua”.
A quello spirito e a
quel modo di intendere la poesia, ricerca di una purezza che non
rifugge ma anzi accetta pienamente il dolore, le gioie e le
incongruenze del vivere quotidiano, è rimasto sempre legato Claudio
Damiani, che ha costruito negli anni un suo percorso originale e
personalissimo, estremamente coerente nell'evitare ogni soluzione che
privilegi il rincorrere le mode, la ricerca di un linguaggio che,
nell'inseguire formalismi e astruserie stilistiche, si discosti da
quella ricerca scrupolosa del vero che spiega senza mezzi termini la
ragione stessa di ogni poesia. I versi di Damiani sono limpidi e
lineari, risultano costruiti su un respiro regolare e mai affannato,
sono legati fortemente alla tradizione sempre viva della poesia
classica, avvertita come una lezione innanzitutto di misura e di
disciplina, ancora attuale dinanzi all'indisciplinato clamore e alle
irregolarità dell'esistenza. Proprio a partire da questo sguardo
lucido e fermo la poesia di Damiani trova la forza per non concedersi
a scorciatoie consolatorie, ma va dritta al problema. Il mondo che ci
appartiene, dicono i suoi versi dolenti e insieme infantilmente
gioiosi, è estremamente semplice nella sua tragica fragilità. E'
inutile agitarsi alla ricerca di impraticabili, e nemmeno
auspicabili, vie di fuga. Dobbiamo invece solamente accettare i
nostri limiti, osservare e partecipare a quello che abbiamo intorno.
I monti, le strade, gli alberi, i fiumi, gli animali tutti, ci
indicano, a saper ben guardare, un destino comune, che non va
compreso, né tantomeno avversato in nome di una nostra superiore
condizione di uomini, ma soltanto accettato nella sua inevitabile, e
proprio per questo sacra evidenza. E' quanto suggerisce “il fico
della fortezza”, dell'omonima sezione inedita, che “ha vita molto
precaria” perché a seguito di restauri verrà tagliato, ma accetta
il suo stato e il suo destino, “sta tranquillo sotto il sole /
distendendo il suo ampio mantello / disuguale, incurante
dell'estetica” e “si lascia accarezzare / dalla luce e dalle
brezze tiepide / sente la nebbia, sente gli uccelli / che parlottano
tra i suoi rami”.
La poesia di Claudio
Damiani, straordinariamente ricca nella sua dichiarata semplicità,
complessa nella lineare essenzialità del dettato (“Vorrei
semplicemente descrivere / quello che vedo, non altro / non mi
interessa inventare / mi piace camminare / e mi piace guardare”),
si costruisce intorno all'idea etica che scrivere versi significa
ritrovarsi nei tempi della natura, nella statica eppure transitoria
bellezza degli elementi naturali. Gli uomini soffrirebbero meno “se
ci fosse molta socialità / feste e canti, riti / molta natura, non
quelle discoteche oscene / non quelle città schifose / (…) molto
camminare nei boschi, molto studio e amore, / non quella televisione
da lupanare, con facce da assassini, / molta arte, molta cortesia e
gentilezza, / buone maniere, educazione, studio, / meno intellettuali
ignoranti, / e quei vip, con quelle facce da maiali”.
Quella di Damiani è una
poesia che sa parlare della nostra condizione di uomini e insieme
partecipare pienamente e emotivamente al destino comune che lega gli
esseri viventi e le cose, nella certezza che “se siamo così tanti
/ vuol dire che non c'è morte / perchè non possiamo morire così in
tanti”.
(pubblicato su Giudizio Universale.it)
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