Nella convinzione che
viviamo in una periodo in cui “tutti smaniano di raccontarci
qualche storia” e che “rischiamo così di affogare nella
fiction”, Filippo La Porta con il piglio e l'immediatezza
comunicativa del critico militante e il rigore dello studioso di
letteratura, scandaglia l'ultimo decennio alla ricerca di prodotti
narrativi che conservino ancora quel carattere utopico di ricerca
conoscitiva e linguistica che la letteratura per intrinseco statuto
deve sempre coltivare.
Il percorso è chiaro
fin dal titolo del volume: Meno letteratura, per favore!, dove
l'invito pressante ed esclamativo segnala la necessità di liberarsi
dall'ansia di consumo e dell'esserci a tutti i costi che aggredisce
da tempo le patrie lettere e, più in generale, la cultura del nostro
paese, ma anche il bisogno di una letteratura che sia rivelazione,
avventura e “disturbo”. Le file ai musei, le folle ai festival
culturali, ormai attivi in ogni parte della penisola, sono indice del
fermento di una massa a cui basta “l'aroma culturale e l'apparente
sofisticatezza”. Quindi, raccomanda La Porta, meno letteratura
“come alibi e decorazione, come consumo più o meno chic e status
symbol, come repertorio di citazioni squisite per ogni
occasione”.
Il saggio di La Porta è
dunque soprattutto un riuscito e particolarmente efficace percorso
alla ricerca dei testi, siano essi romanzi o racconti, o ancora testi
ibridi all'interno del variegato panorama della non-fiction (tra
i tanti autori trattati, Ammaniti e Veronesi, Carraro e Debenedetti,
Saviano e Siti, Evangelisti, Pascale, La Capria, ma anche la migrant
writer Ornela Vorpsi) che si sottraggano all'inesorabile
“depauperamento della letteratura”. La convinzione di partenza è
che “la letteratura nasce sempre da un attrito, da un contatto
elettrico tra la lingua e qualcosa che comunque sfugge al nostro
controllo” e che essa debba tendere a cogliere la logica più
profonda ed enigmatica della realtà. La lettura dovrebbe essere
strumento di comprensione, fornirci un'idea, “della vita e della
morte, del destino e del nostro tempo”. In effetti allo scrittore
oggi si chiede tutt'altro: la capacità di apparire, l'appeal
televisivo, ad esempio. Perché allora dire verità sgradevoli e
indigeste?
Il libro è anche
qualcos'altro. Attraverso l'analisi dei testi letterari e le
riflessioni più generali sulla letteratura degli ultimi anni, La
Porta finisce per costruire un ritratto, amaro ed in qualche modo
doloroso e crudo, della situazione culturale in cui siamo immersi,
della vicenda comunicativa, del difficile rapporto tra il pubblico,
formato sempre più da spettatori televisivi, e la realtà. Nella
triste epoca dei reality show, dove deve apparire reale tutto
quello che è solo finzione e bugia, la letteratura non può che
recuperare la sua natura più vera, che è quella dell'artificio, di
una menzogna che però dice la verità. “L'intera letteratura è un
trompe-l'oeil – scrive La Porta – immensa finestra dipinta
sul muro attraverso la quale entriamo mentalmente in qualsiasi luogo.
Contro la trista recita televisiva dell'autenticità meglio un
trompe-l'oeil che dichiara di essere tale”.
La Porta è sempre alla
ricerca di quello spostamento e dello sforamento, del senso di
vertigine che la vera letteratura deve per sua natura provocare nel
lettore. Allora, se nessuna sperimentazione linguistica è più
davvero possibile, né sono più praticabili pratiche di ribellione o
di trasgressione, la strada è quella della “libera commistione dei
generi”, o anche del racconto, del quale inspiegabilmente e con
pervicacia gli editori diffidano, forse anche perché trasmette al
lettore uno spaesamento quasi del tutto sparito dal romanzo di questi
anni.
(pubblicato su Giudizio Universale.it)
Nessun commento:
Posta un commento