Le poesie di Renzo Paris
che compongono il volume Il fumo bianco sono state scritte nel
corso degli ultimi venti anni e si muovono dentro luoghi tra loro
distanti, eppure vicinissimi nella biografia e nel cuore del poeta.
Sono le città e i paesaggi attraverso i quali si costruisce una
geografia familiare e degli affetti, ambientazione e motore primo
delle liriche.
I versi di Paris sono
costruiti intorno all'urgenza di raccontarci l'esistenza, senza
moralismi e senza una visione preconcetta che limiti la meraviglia
del guardare, e hanno bisogno, per avviare il percorso verso il
lettore, di un luogo fisico e concreto da cui partire, un ambito
appunto congeniale e familiare, riconoscibile a sé e agli altri come
parte del mito personale.
Innanzitutto c'è Roma, i
cui squarci urbani, sia quelli a tutti noti sia gli altri più
nascosti, sono comunque rappresentati dal poeta flaneur ogni
volta dentro la grazia della scoperta e sovrapponendo e mescolando la
confusa vitalità del presente, che spesso degenera nel disfacimento,
alla presenza, più viva ed emozionante, della classicità. Il mondo
latino è vissuto come un contraltare della contemporaneità, il
quale allunga le proprie ombre fino a suggerire una lettura critica
del presente, fino ad invogliare a una ricostruzione dell'esistenza e
delle sue relazioni: “Forse perché del Novecento / non amo più
niente, / a passi lenti e gravi misuro // le mura di questa città e
i fori, / i marmi della latinità, evitando / di dar peso ai mezzi
meccanici // che intasano il grande garage / della modernità”.
Ma può il poeta
intervenire sulla realtà? A questo proposito, accompagnando le
parole e i gesti con un sorriso amaro e canzonatorio, l'io
protagonista delle liriche sembra voglia tirarsi fuori dalla contesa,
presentandosi fin dal principio come sospeso in un tempo che non
concede più margini all'azione. “Non sono né giovane né vecchio”
si confessa nella lirica d'apertura. “Eppure / sono vecchio. In una
nicchia dorata / l'autunno cede il passo all'inverno, / coperto di
tenebre e sonno”. Ma nemmeno questa è la verità: “Eppure sono
giovane, mi batte il petto. / Mille voci mi rimescolano il sangue”.
Infine conclude: “Non sono né giovane né vecchio, sogno / come un
demente, queste due età infinite, / immerso nel secchio del vino
delle aurore, // in un tempo bambino. Sono vecchio, sono / vecchio,
eccomi pronto per le sterminate / eternità”.
La personale geografia di
Paris non può poi prescindere dalla Marsica, che è la terra
dell'infanzia e degli avi, e dunque si colora di una dimensione
mitica e narrativa. E' anche terra che trema, tanto che il “fumo
bianco”, che oltre che al libro dà il titolo ad una delle cinque
raccolte di cui si compone il volume, fa riferimento al polverone
sollevato dalla scossa di terremoto che distrusse L'Aquila e le zone
vicine. I movimenti tellurici con la distruzione che producono sono
comunque anche metafora di un mondo che si sgretola, di un panorama,
anche affettivo e amicale, che perde i protagonisti.
Infine le poesie di Paris
ci portano in Finlandia, dove il poeta si è spesso recato negli
ultimi anni e dove, come per un incantesimo, sembrano ripresentarsi
umori e presenze dell'antico mondo abbruzzese: “Risento l'aroma /
di benzina e di lillà, rivedo le nevi / antiche della mia Marsica,
ritrovo / i tonitu, i miei dispettosi mazzamurelli”.
La poesia di Paris, con
la sollecita corporeità e la contenuta saggezza di quegli scrittori
latini che sente affini e fraterni, guarda al mondo che gli è
intorno, alle vite dei familiari e degli amici (quelli in vita e
quelli scomparsi sono comunque parte attiva nell'esistenza e nelle
giornate del poeta), con occhio ad un tempo sollecito e svagato,
comunque facendo emergere dal coro di presenze un senso universale
del vivere. Il racconto della realtà, ottenuto attraverso terzine di
stampo pasoliniano, si realizza per frammenti e approssimazioni, per
improvvisi bagliori, per meravigliose scoperte, che suggeriscono, proprio
mentre la poesia sembra bisbigliare e dire sottovoce, inaspettate
aperture verso orizzonti più ampi, a dichiarazioni mai gridate come
vere ma sempre piene di amore per la vita e la poesia. Solo
quest'ultima in effetti, sembra suggerire Renzo Paris, può dare
veramente conto dell'esistenza, offrirle concretezza. “Possiedo una
forma, mentre rimo / vivo. (…) / I miei figli hanno preso il volo,
/ il nido è vuoto. Voglio vivere ancora, / amare, tradire,
rovesciare il cuore”.
(pubblicato sul sito Giudizio Universale)
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