Dirò ancora di Piero
Santi. In effetti, a rileggere ora le sue opere, a distanza cioè di
più di venticinque anni dalla pubblicazione del suo ultimo romanzo
(Sic, Vallecchi; poi Transeuropa nel 1990, pochi mesi prima
della morte di Santi, avrebbe pubblicato con il titolo di Cronos
Eros una scelta di romanzi brevi e racconti, già precedentemente
editi) si riscopre una personalità complessa, che si traduce in una
forza narrativa molto originale, capace di trattare con grazia, ma
senza mascheramenti, tematiche allora come oggi ritenute scabrose.
Per Santi l'opera artistica deve in qualche modo aderire alla vita, a
costo di risultare non del tutto risolta formalmente: deve insomma
fare i conti con quei grumi di passione e di dolore, di eros e di
commozione, che appartengono alle nostre esistenze. Non è la vita a
dover diventare opera d'arte, secondo il ben noto presupposto
dannunziano, ma la letteratura ad accettare al proprio interno le
contraddizioni, la desolazione, le sofferenze che la vita contiene.
La sfida dei giorni
è il titolo del libro pubblicato nel 1968 che raccoglie i diari del
1943-46 e del 1957-68. Sono pagine dense di ricordi, di spunti
narrativi, di riflessioni che investono sia tematiche letterarie che
di natura interiore, di carattere filosofico o politico-sociale.
A proposito dell'arte e
della letteratura di quegli anni, Santi scrive in una pagina
dell'aprile del 1968, come spesso artisti e scrittori siano troppo
condizionati dalle attrattive di una scrittura che si risolve in un
felice, ma a volte gratuito, esercizio formale. “Mentre dovunque -
scrive Santi - si avverte il senso arido di una crisi che investe
tutte le situazioni e tutte le strutture, ecco i nostri narratori a
narrare di personaggi oh quanto poetici, di situazioni quanto mai
liriche, di luoghi quanto mai amati fin dall'adolescenza. Mi pare che
siamo cadaveri che respirano, mummie che camminano. Nessuno che pensi
a una scossa violenta. (…) Credo che bisognerebbe operare in altro
senso. A costo di fare dei libri non del tutto risolti, è necessario
cercare nel fondo dei 'contenuti' contemporanei il motivo del nostro
scrivere”.
Nel secondo dopoguerra
Santi fu direttore del mensile di letteratura Ca balà, da lui
stesso fondato insieme a Mario Novi. Sul giornale scrissero Carlo
Emilio Gadda, Tommaso Landolfi, Giovanni Comisso, Sandro Penna,
Antonio Delfini, Alessandro Parronchi e altri tra i più interessanti
narratori e poeti di quegli anni. Qualche anno dopo Santi, nei diari,
ricordò le ragioni che dettero vita al mensile e il fermento che il
giornale produsse in Italia: “a noi – disse – interessavano di
più i problemi che l'uomo con le sue azioni suscita in ogni tempo:
importava tentar di conoscere a che punto l'uomo era arrivato di
disperazione e di crudeltà: dare un perché ai fatti che ci avevano
sopraffatto; chiedere 'chi è l'uomo? Chi siamo?' alla luce dei nuovi
fatti, alla luce della tortura che era risorta proprio quando ci
credevamo, almeno per certi lati, del tutto civilizzati: i nostri
problemi, insomma, erano, se mai, di carattere esistenziale. (…) Di
qui lo scandalo dei letterati italiani che hanno sempre considerato
l'arte in modo più enfatico e formale”.
Piero Santi fu a lungo
critico cinematografico (in un settore “dove i critici sono
pochissimi e dove imperano i 'giornalisti' pronti a seguire gli
ordini della 'produzione' o le facilonerie della moda”). Scrive ne
La sfida dei giorni che, dopo Antonioni, “ci furono i nostri
registi giovinetti, abili, allievi del Centro o meno, tutti attenti a
guardare gli altri registi invece che la realtà, questa nostra
esistenza contraddittoria, complicata, ansiosa, inquieta...”.
Non è forse questa la
condizione che caratterizza tanti nostri letterati, spesso
concentrati più su quanto dicono gli altri che su quanto ci propone
l'esistenza? Del resto le questioni indicate da Santi sono le stesse
che ancora oggi nel nostro paese narratori e poeti non riescono
compiutamente ad affrontare. Di fronte alla crisi (“il senso arido
di una crisi che investe tutte le situazioni e tutte le strutture”)
la risposta è più ridondante che sostanziale, si concentra più
sulle strutture formali invece di aggredire i problemi che la vita ci
pone, si sofferma sulle piccole questioni dell'oggi piuttosto che
“tentar di conoscere” a che punto “di disperazione e di
crudeltà” l'uomo sia arrivato. Naturalmente sono diversi i
narratori e i poeti che oggi percorrono una strada che rifugge da
soluzioni facili e conduce al centro di quelli che Santi chiama
“contenuti contemporanei”. Sono però gli stessi che meno
facilmente trovano adeguate risposte tra coloro che operano le scelte
editoriali.
D'altra parte non è un
caso che il destino di Piero Santi sia precipitato verso la
distrazione generale che si è abbattuta sui suoi scritti,
cancellandone la memoria anche tra gli addetti ai lavori.
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