Che l'atto del tradurre
finisca inevitabilmente per tradire un testo e, di conseguenza, le
intenzioni dell'autore, è cosa ormai nota. C'è da aggiungere che il
traduttore , nella scelta dell'opera che vuole trasferire in altra
lingua e nelle preferenza linguistiche e stilistiche per le quali
opta, non può che a sua volta tradirsi, mettere a nudo cioè i suoi
amori letterari, i percorsi interiori che ad essi conducono, le
proprie predilezioni, molto spesso anche le passioni e le angosce.
Mi ha fatto pensare a
questo, e a come ogni traduzione operata da uno scrittore o da un
critico sia di fatto una sorta di confessione, la lettura di Gabbie
per nuvole di Roberto Deidier. Il bel libro edito da Empirìa è
in effetti un quaderno di traduzioni che il poeta e critico
letterario Deidier sviluppa però in maniera del tutto originale, per
nuclei tematici, dividendo il libro in sezioni, che non sono
assegnate a singoli autori o a epoche specifiche, ma appunto si
sviluppano seguendo un percorso interiore, una mappa personale e
profonda, tanto che la paternità del libro che risulta così
composto deve essere attribuita a chi traduce, prima ancora che agli
autori tradotti. Insomma è come se Deidier avesse voluto non solo
farci entrare nella sua officina di scrittore, ma anche invitarci in
casa, facendoci accomodare in poltrona, per vedere se è possibile
chiacchierare intorno ad alcuni temi, che non solo sono di grande
interesse, ma risultano in definitiva vitali per il nostro tempo.
“Questo libro –
scrive Deidier nella Premessa – è la mia personale mappa di
amicizie e spaesamenti; una piccola geografia degli autori che mi
hanno scortato nel tempo della scrittura, ora come compagni di
viaggio, ora come incontri occasionali, imprevisti, o come veri e
propri dirottamenti. Alcuni di questi, in seguito, si sono tramutati
in amicizie durature, altri sono rimaste presenze legate a un
periodo, o anche a un solo istante”.
Avvicinarsi a un autore
nell'atto di tradurlo, così come nell'esperienza di una lettura in
profondità, può rassicurarci, farci ritrovare in territori
gradevoli e accoglienti, o determinare una sorta di spaesamento,
costringerci a cambiare direzione, a rivedere i progetti. Gabbie
per nuvole è tutto questo, il ritrovare la rotta e insieme
perderla, arrivare a un punto d'approdo che ti invita subito a
riprendere il viaggio: è “un diario di incontri e di esplorazioni
non cercati” che diventa però anche “la storia del formarsi di
una lingua”, che è quella appunto di chi traduce, cioè di chi
vive, trasformando i testi, una sorta di profonda e personale
trasmutazione.
Il risultato non è
dunque un libro di traduzioni in cui l'autore, poeta a sua volta,
dimostra la sua abilità di versificatore e la perizia tecnica:
Deidier è rispettoso nei confronti dei poeti che traduce
(soprattutto anglofoni, come Keats, Auden, Stevenson, Hardy, Larkin,
ma anche Artaud e Apollinaire), non compie mai il peccato di
indulgere in tentazioni di protagonismo, ma nello stesso tempo è
sempre presente, con le proprie esperienze letterarie e di vita, e
soprattutto con la propria lingua, quella cioè della propria poesia,
che a sua volta ha assorbito le indicazioni linguistiche e di stile
degli autori tradotti. Siamo così di fronte a un tracciato nitido ma
non rettilineo, che si compone di testi, ai quali possiamo
avvicinarci in compagnia del traduttore, progressivamente consapevoli
di questo gioco complesso di regali e restituzioni che è in questo
caso l'atto della traduzione.
“Sono i testi a
scegliere noi, e non il contrario”, scrive Deidier. Di questo
incontro si vorrebbe afferrare la pienezza e il senso ultimo della
lingua. Ma i testi si propongono come “luci di passaggio, piccoli
lampi”, tanto che “ogni tentativo di fermarli, di portarli nella
nostra lingua, altro non è che la costruzione di una gabbia per
nuvole”.
Nessun commento:
Posta un commento