Ci sono occasioni in cui
la poesia riesce a parlare a tutti coloro che le si accostano,
affondando con grazia limpida ed accessibile, con acuta e sofferente
determinazione, nelle ordinarie eppure particolarissime
manifestazioni della vita di tutti i giorni. Si pubblicano oggi in
Italia ancora raccolte di versi, che dovrebbero leggere tutti coloro
che sostengono che la poesia, per statuto suo proprio o per intima e
ormai irreversibile aberrazione, debba per forza mostrarsi come un
percorso irto di difficoltà, linguaggio criptico e in parte
inaccessibile, codice per iniziati insomma, che si consuma
nell'ambito costretto e circoscritto di un circolo di affiliati che
finiscono per scambiarsi messaggi tra di loro. Ci sono libri che
riescono a coniugare la massima densità di significato con una
leggibilità che recupera a nuovo senso la lingua della comunicazione
quotidiana, libri che si oppongono come un vessillo di trasparenza a
quanti di fronte ad una raccolta di poesie reagiscono con il più
netto e consueto dei rifiuti: “io la poesia non la capisco”.
L'asso nella neve
di Anna Maria Carpi, pubblicato da Transeuropa, è uno di questi
libri, occasione rara per avvicinarsi alla poesia con rinnovata
speranza che essa sappia dire con limpida compostezza le
inconcludenze e le bellezze del mondo. La Carpi allunga il suo
sguardo rapito e curioso, sempre penetrante, sulle vicende minime e
consuete della vita di tutti i giorni e ce ne rimanda le immagini
attraverso una lingua che privilegia il registro colloquiale,
nobilitata però, e nello stesso tempo straniata, da una musicalità
suadente, controllata con estrema perizia e senso dell'armonia. Sta
di fatto che le vicende quotidiane raccontate dalla Carpi, proprio
nel momento in cui sembrano parte del banale patrimonio che
accompagna tutte le nostre giornate, lasciano emergere una verità
nascosta, una scoperta improvvisa, un accesso imprevisto verso
l'inaccessibile, che ci viene comunque offerto con garbata, quasi
noncurante, pacatezza. “La vita è questo” affermano in vario
modo le liriche de L'asso nella neve, e cioè entrare in
banca, al supermercato, prendere la metropolitana, perdersi nelle
mille occupazioni quotidiane, passare le serate con gli amici, andare
alle inaugurazioni delle mostre, viaggiare. “La vita è questo”
dice a se stessa la poetessa, bisogna in qualche modo adattarsi al
turbinio privo di senso, al nulla che si nasconde dietro ogni gesto.
E conclude: “Io perché non ne ho voglia? / Perché non mi riprendo
come la mia azalea? / Era appassita, i fiori come stracci. / Le era
mancata l'acqua, io gliel'ho data / senza speranza e invece
stamattina / è ritta viva ignara risplendente”.
C'è sempre una
soluzione inattesa nei versi della Carpi, un evento che mescola le
carte che sembravano ordinatamente e ordinariamente disposte, e che
induce a un repentino cambio di prospettiva, che suggerisce che le
regole non sono forse quelle cui ci siamo finora attenuti. I temi
della raccolta sono quelli consueti dell'amore e della morte, delle
relazioni di coppia e dei rapporti con gli altri, più o meno
estranei, ma sono argomenti riproposti e verrebbe da dire rivissuti
con “disperata leggerezza”, con vivacità e rapimento, tanto più
inaspettati di fronte al ripetuto grigiore dell'esistenza: “... che
stortura / è avere un corpo, un volto, quello solo, / e che è
soltanto carne, / la data di scadenza scritta in piccolo, / o dentro
o sotto, dove nessuno legge. / Si aspetta il verde, si traversa la
strada, / si scende nel metrò, si fa la spesa, / si prenotano
viaggi, si entra in banca. / Singoli alieni con tatuaggi e piercing,
/ singoli con i figli da mandare a scuola, / singoli come me soli e
scontenti. / E dopo e dopo e dopo? / Dove guardano tutti questi
occhi?”.
La morte nelle poesie de
L'asso nella neve è spesso solo un pensiero che proietta una
specie di preventiva nostalgia per quella parte di vita che
continuerà dopo la fine, quando, malgrado la nostra assenza, le cose
rimarranno al loro posto e i vivi continueranno a frequentare i
luoghi che anche noi frequentavamo, a fare acquisti, a passeggiare.
“C'è una via di negozi” certifica la poetessa, “se ci sarà
dopo di me io voglio / restarvi come un passero la sera / quando i
vivi vanno a far la spesa: / il vorace vola anche lui dentro, / nel
bianco algido del supermercato, / campa di briciole, ma non è di
cibo / che lui è in cerca. Loro non lo sanno / quale gioia è
vederli, stare in mezzo / alla cara brigata di migranti / coi loro
acquisti, in fila verso il nulla / una casa, una sera un dopocena”.
Sono gli altri
l'ossessione della Carpi, la grande massa degli amati, dei vicini e
degli sconosciuti che popolano la nostra esistenza. Sono loro che
puntellano la nostra vita e che si vorrebbe abbracciare, ma dei quali
si desidera anche non avere bisogno. Da una parte si avverte quasi
una brama di possesso, una voglia struggente di essere concretamente
nelle vite di tutti, dall'altra una necessità di solitudine, che è
insieme desiderio vitale e condanna, piacere e strada impercorribile.
“Gli altri: io li voglio tutti, / solo tutti insieme / li posso
amare / e di uno soltanto ho poca voglia”.
(pubblicato su Giudizio Universale)
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