La lettura di Roberto
Saviano in televisione in prima serata di alcune poesie della
Szymborska
pare abbia prodotto l'effetto della vendita immediata di quindicimila
copie dell'antologia La gioia di scrivere, pubblicata tre anni
fa da Adelphi. E' una buona notizia, di fronte alla quale
bisognerebbe essere meno sorpresi e dimostrarsi semmai in grado di
comprenderne la portata.
Molti diranno, storcendo
la bocca, che questo risultato è effetto della tv, che la poesia
quando è tale può essere apprezzata solo da pochi (quali? perché
proprio loro?), che Saviano (e dunque la Szymborska)
ha potuto sfruttare l'effetto di spiazzamento che ha colpito il
telespettatore, diventato senza preavviso un ascoltatore e possibile
lettore di poesia.
Ma perché questo
dovrebbe essere un problema? Perché continuare a confinare la poesia
nei territori, che non le appartengono, della noia e
dell'impopolarità? Chiunque abbia avuto modo negli ultimi anni di
leggere poesie in pubblico senza dare ad intendere di essere il
ministro di un rito per iniziati che ha bisogno di particolari
conoscenze e di un'intensa attività di decodifica per essere
compreso, si sarà reso conto che la poesia produce reazioni
improvvise di risveglio dal torpore, un piacere tanto intenso quanto
apparentemente ingiustificato. Quando riesce a parlare in una lingua
comprensibile delle questioni su cui ogni uomo, anche il più
sprovveduto, finisce almeno una volta nella vita per riflettere, la
poesia sa farsi ascoltare anche da interlocutori che si vorrebbero
distratti e distanti.
Provate a leggete (bene)
a una platea di liceali una poesia di Sbarbaro, di Saba, di Caproni,
della Cavalli o appunto della Szymborska,
l'effetto è evidente: una quantità di bocche aperte, sguardi
inaspettatamente interessati, silenzio da grande occasione. E poi la
lettura genererà domande, richieste di coordinate, voglia di
comprendere e di dire: una reazione a catena.
Allora
la questione è: perché i volumi di poesia sono scomparsi dagli
scaffali delle librerie, non sono mai esposti in bella vista o sono
relegati nell'angolo più buio e triste? perché i primi a non
credere nella poesia sono gli editori, che pure si impegnano a
promuovere romanzi che, a volte, vendono così poco da sembrare libri
di poesia? perché si leggono poche poesie ai giovani, che vengono
messi nella condizione di credere che la poesia vada studiata invece
che letta?
Insomma,
perché la poesia non fa parte della nostra quotidianità?
perché la poesia fa riflettere, fa pensare, fa porre domande; e buona parte dell'editoria non vuole che ciò accadda.
RispondiEliminaparlo dell'editoria "blasonata".
poi c'è pure quell'editoria "spacializzata" che non accetta che della poesia si parli se non in toni entusiastici, elogiati e di conseguenza (auto)referenziali.
non si polemizza più su un verso brutto, un libro che non doveva essere pubblicato.
tutto ciò allontana.
del resto pure la prosa subisce le stesse regole.
vende l'autore che fa cassetta ma non fa riflettere; i libri realmente belli che pongono domande non vengono manco nominati.
credo che nelle librerie dovrebbero istituire uno scaffale apposito: NOIOSI. mi sa che qualche curioso in più andrebbe a vedere perché Sbarbaro, Saba, Magrelli e Insana figurano tra i "noiosi". come se la "noia" e lo "spleen" non facessero pensare.
fabio michieli