Camillo Sbarbaro fu
conoscitore e raccoglitore di licheni, tanto che alcune nuove specie,
scoperte appunto dal poeta, portano il suo nome e campioni da lui
raccolti e catalogati sono conservati nei più importanti musei
botanici del mondo.
Ai licheni Sbarbaro
dedica alcune bellissime pagine dei Trucioli, nell'edizione
del 1940. I Trucioli, come scrisse Montale in occasione della
prima pubblicazione nel 1920, “sono fogli volanti, pagine di
diario, notazioni brevi e lunghe, bozzetti e parabole senza nulla di
esoterico; e la maggior parte di queste cose s'innalza, stranissimo
oggi!, fino alla poesia”.
Infatti l'amore di
Sbarbaro per i licheni (“una forma di disperazione”, sempre per
Montale) fa sì che questi singolari e diffusissimi organismi
diventino in qualche modo il segno stesso della poesia.
“Il lichene – scrive
Sbarbaro – prospera dalla regione delle nubi agli scogli spruzzati
dal mare. Scala le vette dove nessun altro vegetale attecchisce. Non
lo scoraggia il deserto; non lo sfratta il ghiacciaio; non i tropici
o il circolo polare. Sfida il buio della caverna e s'arrischia nel
cratere del vulcano”. E più avanti: “Per dimensioni: ci sono
licheni come placche – che un uomo non abbraccia; come refe –
che, dipanati, raggiungerebbero il chilometro; come alberi – che
arrivano all'anca. E ne abbondano di minuscoli: c'è il lichene
Virgola, il lichene Puntofermo, il lichene Asterisco”.
Nel 1938 la pubblicazione
della nuova edizione dei Trucioli per Vallecchi, è bloccata
dalla censura del Ministero della Cultura Popolare. Il famigerato
Minculpop chiede tagli e soppressioni che Sbarbaro non accetta. Due
anni dopo verrà realizzata una edizione dattiloscritta in una
ventina di copie. Nello stesso periodo anche pacchi di licheni
inviati dal poeta furono fermati al confine.
Mi piace pensare che il
regime fascista avesse paura dei licheni. Troppo umilmente
impenetrabili, troppo mutevoli e ambigui (“Né mancano licheni
bicolori, tricolori; licheni variegati, pelle di pantera, veste
d'Arlecchino, tavolozza di pittore; licheni fulgenti, rutilanti e
persino versicolori...”), troppo poetici ed equivoci (“Un'intera
tribù, le Grafidee, tappezza il sostegno di scritture indecifrabili:
a caratteri minuscoli o maiuscoli, immersi o in rilievo: lineari,
forcuti, cinesi, cuneiformi”) per non rappresentare un pericolo. Di
fronte alla loro misteriosa indefinibilità, il regime mostra i
muscoli.
“Il lichene è un
enimma. Quando di lui si è detto che appartiene al regno vegetale,
si è detto tuttociò che di certo sul suo conto si sa. Persino la
parola 'entità', adoperata per indicarlo è imprudente, se c'è chi
considera il lichene null'altro che un fenomeno”.
mi piace questa piccola not; ti segnalo che anche tra i contemporanei esistono poeti che si dedicano ad approfondire la conoscenza della natura, per esempio tiziano fratus è un cercatore di alberi monumentali; rovescio sul tavolo la mia ignoranza smisurata: sbarbaro è quello di padre, anche se tu non fossi il mio padre, per te stesso ugualmente ti amerei, mi piace molto e un paio d'anni fa ho cercato di approfondire, mi hanno anche dato le giuste indicazioni per trovare i suoi libri, poi mi sono fermato a metà strada
RispondiEliminaGrazie per l'indicazione di fratus: cercherò di approfondire. Sbarbaro è un poeta da leggere assolutamente. Lontano dai salotti letterari, la sua opera è però centrale nella letteratura del Novecento, come dimostra del resto la produzione montaliana, che qualcosa deve al poeta di Pianissimo (come d'altra parte riconosciuto dallo stesso Montale).
RispondiEliminaSbarbaro, estroso fanciullo, piega versicolori
RispondiEliminacarte e ne trae navicelle che affida alla fanghiglia
mobile d'un rigagno; vedile andarsene fuori.
Sii preveggente per lui, tu galantuomo che passi:
col tuo bastone raggiungi la delicata flottiglia,
che non si perda; guidala a un porticello di sassi.
(Montale, "Epigramma", dagli "Ossi di seppia")
Grazie per il contributo, Sergio. Infatti il rapporto umano e culturale tra Montale e Sbarbaro fu molto intenso.
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