Con la fine della prima
guerra mondiale si conclude un'epoca, che aveva mostrato gli ultimi
brillanti palpiti con l'esplosiva e contraddittoria età della Belle
Epoque, e si spegne anche la vicenda esistenziale di Guillaume
Apollinaire. Nello stesso giorno in cui a Parigi si festeggia la fine
del conflitto, gli amici si raccolgono intorno al corpo senza vita di
quello che sarebbe stato considerato come uno dei più grandi lirici
del Novecento, che avrebbe voluto essere il Papa delle avanguardie, e
in cui i suoi contemporanei riconobbero soprattutto il fantasioso
prosatore, oltre che il brillante, a volte esageratamente vitale,
animatore della scena culturale parigina. Apollinaire muore a 38
anni, prostrato nel fisico dopo aver subito una ferita al capo mentre
era al fronte, tanto da essere colpito prima da una congestione
polmonare e poi dalla febbre spagnola, che nei mesi successivi alla
sua morte avrebbe mietuto decine di migliaia di vittime in Europa.
Guillaume Apollinaire
era nato a Roma nel 1880, in via Milano ed era stato svezzato da una
nutrice di Trastevere (da cui la lapide che lo vorrebbe nato in viale
Trastevere). Era figlio di padre ignoto e di Angelica de
Kostrowitzky, che si faceva chiamare Olga, una affascinante
aristocratica che viveva accompagnando e intrattenendo ricchi signori
che trascorrevano la loro vita nelle sale da gioco.
Al polacco di origine
russa, che nacque a Roma e visse Parigi come la propria patria, Renzo
Paris dedica una ricca e accurata biografia. La banda Apollinaire
(il titolo fa riferimento al gruppo di amici, artisti e letterati,
che si riunivano nell'atelier di Picasso, che i parigini conobbero
come “bande à Picasso”) è un libro composito, ricco di spunti
critici, di riflessioni che spesso, più o meno direttamente,
richiamano ai nostri giorni, ad una società letteraria che ad
esempio ha dimenticato i valori su cui andrebbe costruita la fama
letteraria. “Un giovane autore oggi – scrive Paris – punta
subito alla penetrazione del mercato. Non è interessato alla stima
dei suoi colleghi di penna, è l'entità del contratto della sua
opera ad attrarlo”.
Non è un caso che il
romanzo biografico si apra e si concluda con la narrazione delle
passeggiate romane di Paris, a distanza di un anno, ma sempre il 25
agosto, giorno in cui il poeta era nato, alla ricerca dei luoghi che
ospitarono i primi passi della vita di Guillaume. In questo modo si
sottolinea come il racconto della vita del poeta francese non sia
solo il resoconto di una vicenda ormai passata, ma offra
sollecitazioni che possono servire a comprendere meglio il presente.
Allo stesso tempo emerge fortemente il legame profondo che lega lo
scrittore italiano al poeta d'oltralpe, a cui del resto Paris ha
sempre dedicato la sua attenzione, a partire dai primi anni Settanta,
quando ne curò un'edizione delle poesie. Questo legame diventa a
tratti evocazione struggente di un incontro impossibile: “Sta di
fatto che passeggiando per i luoghi centrali di tutta la produzione
del Nostro, l'emozione ricevuta dalla lettura dei suoi versi, dalle
sue prose, mi ha fatto desiderare davvero di incontrarlo e certe
volte mi è parso di vederlo”.
Renzo Paris, con
scrupolo di biografo, ripercorre le tappe della vita di Apollinaire,
ricostruisce i suoi interventi giornalistici, si sofferma sui
capolavori letterari, traccia il percorso dei suoi amori spesso
contrastati fino al rassicurante approdo, a poche settimane dalla
morte, del matrimonio con la pittrice Jacqueline Kolb. In una prosa
solida e piana che rifugge da ogni eleganza che sia solo gratuita
concessione al lettore, riesce ad offrirci il senso di un'esperienza
letteraria insieme elitaria e di massa, che cerca il contatto con la
folla, perché “la poesia si nascondeva proprio tra quella folla
che aveva cancellato in un sol colpo il concetto stesso
dell'individuo”. Quel poeta “furbissimo e innocente”, come ebbe
a definirlo il pittore Gino Severini, ci dice ancora, nell'epoca
segnata da internet, nella realtà moderna “contenta di aver
cancellato il passato e il futuro in un presente di plastica”, che
fare poesia è non perdere il contatto con la tradizione lirica, per
poter “cambiare il senso delle parole di sempre”. Ma soprattutto
nel libro emerge, quasi nostalgicamente, l'idea di vivere l'arte come
solidarietà tra amici. Anzi, dice Paris, che è proprio questo a
muoverlo alla ricostruzione di quell'epoca: “Era l'amicizia amorosa
tra poeti, tra artisti, quella solidarietà immediata tra bohémiens
che volevo ritrovare, compresa l'invidiosa competitività”.
L'arte come stile di vita globale.
RispondiEliminaL'idea mi attira.
E mi attira anche il relativo disinteresse economico dei bohémiens, quel vivere nell'arte e per l'arte, e di arte. Non solo "per mezzo dell'arte".
Grazie per questa segnalazione
susy
Thank you for writing thiss
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