Alla
figura della madre è dedicato per intero il libro di versi di
Roberto Carifi di recente pubblicazione per i tipi di Le Lettere. Il
poeta toscano torna su uno dei temi maggiormente frequentati anche
nella prima fase della sua produzione. Le diverse poesie, sia pure
distinte e ognuna capace di rappresentare un singolo e compiuto
componimento, finiscono per delineare una sorta di poemetto, che
prende di volta in volta il tono di una lunga e sofferta Lettera,
di una accorata Supplica, di un monologo attraverso cui
ricostruire gli eventi che hanno caratterizzato il rapporto con la
persona amata, ormai raffigurabili solo sul terreno della Memoria
e della Nostalgia, come suonano i titoli di alcune delle
sezioni in cui è diviso il volume.
Madre
è un libro di grande forza emotiva, una coraggiosa confessione di
sentimenti, che si muove tra il ricordo della figura materna dolce e
piangente al tempo dell'infanzia e della giovinezza e la sua
compassionevole partecipazione nel presente, con la donna si direbbe
ancora più vicina dopo la morte, avvenuta ormai in un'epoca che
Carifi avverte come irrimediabilmente lontana. Dopo la morte della
madre, c'è infatti l'evento che ha segnato come uno spartiacque la
vita del poeta: “Dieci anni fa stavo per morire. Poi fui
trasportato / in uno spazio di recupero, sprofondato in una sedia a
rotelle / e non parlavo più. La notte sentivo che mi parlavi,
avresti / voluto piangere o forse era la madre di un bambino morto, /
pregavo per te, pregavo per tutti, a volte ti vedevo soltanto io /
passeggiare come un'ombra”.
Il
poeta intesse un pietoso e implacabile dialogo con la figura materna,
a cui senza indugio mostra i segni della malattia che l'ha colpito e
che lo costringe in un corpo deturpato. “Le distanze sono infinite,
tra te che sei nel Nirvana / ed io che mi trascino in questo
letamaio, ma poi / vita e morte sono identici e noi due diventiamo /
uguali. Anch'io sono vicino e ti stringerò / come si stringe il
Grande Nulla, il vuoto”. O ancora: “Piccola madre, quando sarai
pura mente / e mi guarderai a distanza, ricordati di me, / lo
sciancato, e passa come un velo / accanto al mio letto, piccola,
grande madre / quando sarai nel Grande Vuoto pensa / a questo
martirio ed alla Compassione / che mi porto dentro”.
La
prossimità della morte, l'aspirazione della parola al silenzio, la
comunicazione con un mondo che non è quello terreno, la
ricostruzione a tratti diaristica delle epoche della propria
esistenza, tutti temi che si presentano più volte nel corso della
raccolta, delineano una sequenza dove i piani temporali si
confondono, e presente, futuro e passato si intrecciano e si
sovrappongono. La lingua della poesia predilige un verso più ampio
rispetto a precedenti raccolte, diventando più narrativa, ma allo
stesso tempo rarefatta, facendo percepire nella scelta lessicale e
nel ritmo utilizzato che l'approdo cercato è quello dell'assenza dei
rumori, della serenità e della segretezza. Scrive Carifi, in una
delle liriche più intense e sofferte della raccolta: “Quaggiù gli
inverni cominciano presto, / e di nuovo le preghiere incontrano il
silenzio. / Avrai sentito parlare di questa rovina, / tutto ti
apparirà remoto, un'altra storia, un altro tempo. / Lo capisco,
Madre, e ti vorrei raggiungere. / Intanto mi sto abituando al
silenzio, / ogni giorno mi esercito all'addio”.
La
raccolta Madre, proprio
perché torna su un tema già fortemente praticato, consente
di guardare al complessivo percorso poetico di Carifi potendo
distinguere in esso un momento di passaggio e di mutamento,
determinato prima dall'avvicinamento al buddismo, poi dalla malattia.
Il linguaggio si è fatto più diretto, senza perdere incisività, le
immagini calate in una realtà che quanto più è fatta di oggetti
concreti tanto più rimanda ad altro.
pubblicato su Succedeoggi.it
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