Finisce agosto e finisce
l'estate, almeno per noi che guardiamo a settembre come a un'età già
diversa. E' il passaggio che segna davvero la fine e l'inizio
dell'anno. Ne sono prova gli innumerevoli versi dedicati a questa
stagione. A me viene in mente una poesia di Diego Valeri, contenuta
nella sua ultima raccolta Calle di vento.
Estate,
dove vai, dove mi porti?
Tu
sembri stare, ma
vai
senza posa, scorri via. Domani
è
l'autunno: l'autunno
dai
soli impalliditi, dalle lunghe ombre opache.
Cadono
i frutti, l'albero si spoglia.
Come spesso accade nelle
sue poesie, Valeri sembra registrare le evidenze della realtà,
riportarle aderendovi con subitanea accettazione. In effetti questa
sorta di assenso nasconde spesso una verità fatta di precarietà e
di rinuncia. Così l'autunno che si appresta segna il ritorno di una
certezza: la fragilità che prende di nuovo possesso delle cose e
delle vite, dopo il malinteso estivo che ha fatto sembrare immutabile
il mondo. L'apparente fissità dell'estate (Cardarelli in Estiva
parla di “stagione la meno dolente / d'oscuramenti e di crisi”,
che “sembri mettere a volte / nell'ordine che procede / qualche
cadenza dell'indugio eterno”) in effetti già nasconde un avanzare
“senza posa”, lo scorrere quasi inconsapevole delle esistenze.
Solo con l'arrivo dell'autunno ci accorgiamo di come la vita abbia
proseguito nel suo cammino, negandoci un'eternità a cui avevamo
creduto.
Mentre l'estate è
carica di fraintesi (“tu sembri stare”) ed è in fondo stagione
di mutamenti e di alterazioni (“vai senza posa, scorri via”),
l'autunno rende evidente l'oggettiva sicurezza della provvisorietà,
ristabilisce la certezza che tutto è incerto e transitorio.
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