A riprova di quanto
sostenuto nel post precedente, nel quale tentavo un'analisi di una
poesia di Vittorio Sereni sulla base di una presunta (da me) tendenza
del poeta a narrare storie, combinata peraltro a una ritrosia della
poesia a riprodurre la realtà senza manipolarla, mi soccorre una
prosa dello stesso Sereni che risale al 1962 e che venne inserita nel
volume Gli immediati dintorni, ripubblicato ora in edizione
ampliata da Il Saggiatore.
Vittorio Sereni |
La prosa ha titolo Il
silenzio creativo. Dato conto di quello stato d'animo che
aggredisce un autore quando questi non riesce a scrivere una riga
anche per periodi molto lunghi, provando “l'umiliazione del non
farcela più”, Sereni si concentra soprattutto su quello che, a suo
avviso, è l'aspetto veramente importante della questione. Di fronte
a “sensazioni, impressioni, sentimenti, intuizioni, ricordi”, ai
quali siamo portati ad attribuire un “senso di rarità o di
eccezionalità”, il poeta si può trovare in una condizione di
“insoddisfazione creativa, anzi di riluttanza di fronte alla messa
in opera”, insomma è vittima di un disagio che può diventare
silenzio nel momento in cui bisogna tradurre queste esperienze di
vita in un linguaggio codificato e che dunque prevede moduli
espressivi già sperimentati.
Da questo nasce una sorta
di invidia del poeta nei confronti del narratore, capace di dare
corpo, in maniera illusoria fin che si vuole, e grazie a una specie
di “sortilegio evocativo”, a “figure, situazioni, vicende, ben
oltre la voce, l'accento, la formulazione lirica immediata”.
Appare dunque centrale
nella riflessione del poeta il rapporto tra “esperienza e
invenzione”, tra quelle che sono le emozioni, i sentimenti e le
vicende che la vita impone, e la loro traduzione in poesia. E'
evidente perciò che la meditazione di Sereni si concentri sulla
possibilità di raccontare l'esperienza di vita individuale in
poesia, sulla necessità che le figure e le storie prendano corpo nei
versi.
“Programmare una poesia
'figurativa', narrativa, costruttiva – conclude il poeta – non
significa nulla, specie se in opposizione di ipotesi letteraria a una
poesia 'astratta', lirica, d'illuminazione. Significa qualcosa, nello
sviluppo d'un lavoro, avvertire il bisogno di figure, di elementi
narrativi, di strutture: ritagliarsi un milieu socialmente e
storicamente, oltre che geograficamente e persino topograficamente,
identificabile, in cui trasporre brani e stimoli di vita emotiva
individuale, come su un banco di prova delle risorse segrete e ultime
di questa, della loro reale vitalità, della loro effettiva capacità
di presa. Produrre figure e narrare storie in poesia come esito di un
processo di proliferazione interiore... Non abbiamo sempre pensato
che ai vertici poesia e narrativa si toccano e che allora, e solo
allora, non ha quasi più senso tenerle distinte?”.
Mi sembra una
dichiarazione di poetica, abbastanza mascherata, ma imprescindibile
per capire il processo creativo alla base della poesia di Sereni.
Va detto infine che Gli
immediati dintorni, libro essenziale per comprendere la complessa
e varia riflessione teorica del poeta di Luino, appare come un blog
ante litteram, un blog senza
internet, ma con la capacità di fissare in forma non rigida
notazioni, riflessioni analisi.
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