Il nuovo romanzo di
Diego De Silva, titolo Mancarsi tanto per alimentare subito
qualche interrogativo, narra una storia d'amore. Anzi dice di quelle
strane pieghe, dei mille dubbi e delle mille mezze verità, delle
smanie e delle gioie, che nell'animo umano possono manifestarsi,
quasi sempre si manifestano, nella vita di coppia. E insieme racconta
quello che accade prima che una storia abbia inizio.
Diego De Silva |
Il mancarsi del
titolo fa infatti riferimento alla difficoltà di incontrarsi dei due
protagonisti, entrambi reduci in modo diverso e diversamente
traumatico da proprie vicende coniugali. I due, pur non conoscendosi,
sembrano quasi cercarsi: frequentano infatti lo stesso bistrot, lì
attratti non dalla cucina, ma dalle caratteristiche dell'ambiente,
dalle gentilezze del cameriere, che ha per l'uno e per l'altra un
occhio particolarmente attento e quasi affettuoso, e soprattutto da
una foto di Buster Keaton, davanti alla quale tutti e due amano
sedere. Ma l'uomo e la donna appunto si mancano, non hanno gli
stessi tempi, sembra quasi non vogliano incontrarsi.
D'altra parte il termine
mancarsi potrebbe anche alludere a una sorta di incapacità di
centrare se stessi, o anche proprio potrebbe significare “mancare a
se stessi”, non ritrovarsi, sentirsi fuori dalla propria stessa
esistenza, inutili e stranieri alla propria vita, che è poi la
condizione che vivono Irene e Nicola nelle distinte situazioni.
De Silva sa delle insidie
e dei trabocchetti di cui è disseminata la narrazione, quando questa
voglia parlare d'amore e delle complicate dinamiche del rapporto di
coppia. L'argomento esige mano sicura: troppo facile scivolare nel
sentimentalismo, farsi fagocitare dai luoghi comuni. De Silva sceglie
dunque un tono leggero, che gli permette di non arretrare anche
davanti ai contenuti più patetici; a tratti la narrazione si fa
disincantata ed ironica, ma evitando esagerazioni e soluzioni facili.
Il narratore segue i suoi personaggi con passo lieve e con
partecipazione, accompagnandoli nelle loro meditazioni, nei cavilli
mentali, anzi addentrandosi in essi (da qui l'uso estremamente
ricorrente delle parentesi). Vincenzo Malinconico, l'avvocato
protagonista dei suoi ultimi fortunatissimi romanzi (Non avevo
capito niente, Mia suocera beve) non è passato invano,
perché Irene e Nicola, le cui due vicende si snodano separatamente e
in qualche modo in parallelo, tendono come l'avvocato alla
riflessione, ammassano pensieri, propongono ricordi, ritardano le
azioni mentre intrecciano teorie sull'esistenza. Insomma si guardano
vivere, ma lo fanno con la consapevolezza che la vita sia anche
pausa, momento d'attesa, e che la passione, per quanto dirompente,
non debba essere per forza gridata.
Irene e Nicola cercano la
risposta alla loro domanda d'amore, ma lo fanno senza clamore, senza
sbandierare i sentimenti e senza nemmeno credere che essi siano un
diritto. Anche per questo sono personaggi che osservano se stessi e
gli altri, dei quali non gradiscono gli atteggiamenti esibiti, le
modalità di relazione costruite sui modelli televisivi, le ovvietà
e i luoghi comuni che condiscono i rapporti tra i due sessi. Per loro
la parola gentilezza assume ancora un valore genuino e fondamentale,
e si presenta come un misto di attenzione verso l'altro, timidezza e
rispetto delle forme.
Così quando Pavel, il
cameriere del bistrot, prima di tendergli la mano, se la asciuga sul
grembiule, Nicola scopre nel gesto un “atto antico, deferente e
confidenziale insieme” e ripensa al nonno che nei campi si puliva
la mano sulla canottiera, prima di metterla sulle spalle del nipote
che si era recato a chiamarlo per il pranzo. “Non gli sembrava
tanto un atto di umiltà, dovuto alla vergogna di fare un lavoro che
sporca, e neppure un automatismo. Nell'insufficienza igienica di quel
gesto, nel suo valore tutto sommato simbolico, Nicola riconosceva
piuttosto uno stile, un azzeramento dei convenevoli, una traduzione
immediata della forma in sostanza”.
L'immagine che meglio
rappresenta questo stile è forse proprio quella di Buster Keaton, la
cui foto tanto attrae Irene e Nicola: l'immagine del comico che seppe
essere elegante senza mai vestire bene, seppe far ridere senza
abbozzare nemmeno un sorriso, continuò a mostrare tutta la
leggerezza della sua figura anche al centro di inenarrabili e
caotiche situazioni, e fu capace di muoversi con armonia anche nel
pieno di un capitombolo.
(pubblicato sul sito Giudizio Universale)
(pubblicato sul sito Giudizio Universale)
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