La rivista GeaArt, diretta dal critico d'arte Massimo Bignardi, mi ha chiesto di scrivere sul tema L'isola non trovata. Questo è il testo pubblicato sul n. 4 del bimestrale di cultura, arti visive, spettacolo e nuove tecnologie creative.
In uno scritto che risale “ai primi giorni del '75”, come indica lo stesso
autore, pubblicato poi postumo l'anno successivo ad apertura delle
Lettere luterane date alle stampe da Einaudi, Pasolini delinea
un ritratto dei giovani di quegli anni. “I loro occhi sfuggono –
scrive -, il loro pensiero è perpetuamente altrove, hanno troppo
rispetto o troppo disprezzo insieme, troppa pazienza o troppa
impazienza. Hanno imparato qualcosa di più in confronto ai loro
coetanei di dieci o vent'anni prima, ma non abbastanza”. Hanno per
esempio un bagaglio linguistico più ampio e corretto, ma “se da
una parte parlano meglio, ossia hanno imparato il degradante italiano
medio, dall'altra sono quasi afasici”. Pasolini, facendo
riferimento a quello che considera uno dei “temi più misteriosi
del teatro greco”, si chiede quali siano le colpe dei padri che
sono ricadute sui figli, determinando il loro destino.
Lo scritto, che ha titolo
I giovani infelici, rappresenta un mondo giovanile non tanto
distante da quello attuale, almeno nella dose di infelicità e di
miseria che aggrediscono lo spirito. Malgrado l'aspetto esteriore,
che dà conto di una maggiore educazione scolastica e di una
migliorata condizione di vita, i giovani “sono regrediti –
afferma il poeta de Le ceneri di Gramsci – a una rozzezza
primitiva”. E' una condizione che scopriamo anche nei nostri figli.
La somiglianza di quella generazione con coloro che oggi occupano le
piazze notturne del divertimento, che mostrano con orgoglio le
creste, le capigliature scolpite, pone anche noi, dunque, di fronte
alla stessa domanda che ipotizza Pasolini: qual è la nostra parte di
colpa? quale quella dei nostri figli?
I “giovani infelici”
di oggi parlano meglio l'italiano, più speditamente e con maggiore
sicurezza, e di certo hanno a disposizione la conoscenza di più
lingue straniere; attraverso l'inglese possono comunicare con gli
abitanti di buona parte del mondo. Sono più ricchi, il loro tenore
di vita li pone in una situazione di maggiore serenità e
agiatezza di quella delle generazioni che li hanno preceduti,
eppure, siamo portati a dire con Pasolini, che essi non hanno “niente
di personale che li caratterizzi di dentro” e che “la stereotipia
li rende infidi”.
Qual è dunque la nostra
colpa di padri? Quella, potrei dire, di aver fatto più grande
l'universo e più piccolo il mondo, di aver ridotto, fino ad
annullarla, la fatica degli spostamenti e, con essa, quella della
conquista, di aver reso uguale il distante, di aver decretato che
anche la felicità (per i nostri giovani infelici, figli
di padri a loro volta infelici) ha sempre il volto del benessere e
della soddisfazione che si ottiene attraverso il possesso dei beni,
anzi di quei beni non necessari alla vita ma che risultano
fondamentali per il riconoscimento sociale.
Abbiamo reso facile la
navigazione verso sponde remote.
In questo modo siamo
arrivati ben oltre le consuete rotte della navigazione, rendendo
presente quello che era lontano e anticipando il futuro. Abbiamo
insomma occupato tutte le isole, un attimo prima che i nostri figli
nascessero. Abbiamo creduto che la nostra scienza, ed anche la
consapevolezza e l'impegno politico, fossero in grado di condurci
ovunque, rendere possibile ogni traguardo. Colpa ancora più grave,
abbiamo fatto credere che l'Isola Non-Trovata non esiste.
L'isola per cui “invano
le galee panciute a vele tonde, / le caravelle invano armarono la
prora”, quella che “appare talora di lontano / tra Teneriffe e
Palma, soffusa di mistero”, come scrive Guido Gozzano nella poesia La più bella!, si è forse per sempre inabissata, o
peggio ha perso il suo aspetto favoloso, non scivola più sui mari.
Su di essa non più “svettano palme somme”, né “odora la
divina foresta spessa e viva, / lacrima il cardamomo, trasudano le
gomme...”. Insomma quell'isola, obiettivo politico e
sociale nell'azione dei padri, prospettiva utopica ma in fondo
insopprimibile del loro sforzo ad essere migliori, è priva ormai del
suo misterioso segreto, è diventata a tutti accessibile.
La metafora della
navigazione è oggi soprattutto abbinata all'uso della rete
informatica, è usata per indicare la traversata nel mare di
internet, oceano confuso e sorprendente, ma che tende a mostrare ogni
approdo come già praticato. Le isole affioranti sono facilmente
raggiungibili, ricche di lidi invitanti e di una vegetazione
lussureggiante, ma tutte già occupate. Le attività dei decenni
precedenti sembrano aver già tutto risolto, previsto, messo in
ordine.
Il secolo che abbiamo
sempre considerato breve allunga di fatto la sua ombra persistente
fino al secondo decennio del nuovo millennio, negando il futuro a
padri e figli. Il futuro è quello che non è dato conoscere, è
lontananza nello spazio e nel tempo, ed è lì che si mostra, per poi
nascondersi, l'Isola Non-Trovata.
Infatti
“se il piloto avanza, / rapida si dilegua come
parvenza vana, / si tinge dell'azzurro color di lontananza”.
Se non ci riescono da soli, i figli, potreste anche ricominciare voi, padri, a credere che ci sia ancora un'isola da conquistare. E loro lo leggeranno nei vostri occhi, nei vostri gesti. Non sono stupidi, li fanno. Perchè per quanto circondati siamo dalla melma e dalla palude un'isola c'è sempre, che nessuna cresta può sommergere. L'isola dentro di noi. Quella la possiamo cercare, vedere per un attimo, e poi non trovare più nella nebbia che spesso la ricopre, ma se sappiamo che c'è continuiamo a cercarla. E questo penso sia il viaggio più interessante tra tutti. Da imparare e da insegnare e da imparare di nuovo. E forse a poco a poco le creste scenderanno e le rotte vireranno. Da fuori a dentro, per poi tornare fuori perchè no, ma con gli occhi meno sfuggenti.
RispondiElimina:) Elisabetta