Mino Maccari |
“Ho poche idee, ma
confuse” gli avrebbe suggerito di confessare Mino Maccari, se fosse
stato seduto nello studio televisivo, peraltro tetro nella sua
scenografia essenziale da teatro di ricerca.
Il teatro di ricerca
preferisce spesso i silenzi. Quante parole invece si sono detti il
Cavaliere e il Giornalista! Anche brillanti, argute, da persone che
non hanno fatto le scuole serali, tanto per riutilizzare una loro
gag, e che sanno che essere in scena significa interpretare un ruolo,
ripetere cose già dette, sera dopo sera, una recita dopo l'altra.
Il Cavaliere e il
Giornalista hanno abusato del loro mestiere, hanno usato tutta la
tecnica più scaltra e raffinata dei teatranti, sapendo che le
parole, quando significano davvero qualcosa, non hanno bisogno di
frizzi e lazzi, di acrobazie da guitti. Ma in questo caso bisognava
fare spettacolo, non comunicare.
Le parole solo quando si
sforzano di dire vanno diritte verso la mente e il cuore
dell'interlocutore, sono brillanti senza voler piacere a tutti i
costi, sono impegnative senza essere noiose.
Mino Maccari, che era un
pittore e uno scrittore la cui opera irriverente e sarcastica ha
attraversato il Novecento senza troppo clamore, avrebbe abbozzato un
sorriso e, dal suo posto buio alle spalle del Giornalista, avrebbe
riassunto il senso della trasmissione con uno dei suoi aforismi: “Non
so contro chi credere”.
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