Gli
esordi di Roberto Mussapi risalgono alla metà degli anni Settanta
con la partecipazione alla rivista Niebo e successivamente con
la pubblicazione nel 1979 delle poesie de I dodici mesi nei
Quaderni della Fenice di Guanda, poi confluite in La gravità del
cielo del 1984. A distanza di trenta anni da qual primo libro di
versi, l'editore Ponte alle Grazie dedica ad una delle voci poetiche
più significative e più originali degli ultimi decenni il volume Le
poesie, che include tutti i versi fino a L'incoronazione degli
uccelli nel giardino e a Il capitano del mio mare, i due
poemetti di più recente pubblicazione destinati al pubblico dei
ragazzi. La raccolta di oltre 500 pagine è introdotta dagli scritti
di Wole Soyinka e di Yves Bonnefoy e si avvale di un ampio e
circostanziato contributo critico di Francesco Napoli, fondamentale
per sviluppare una riflessione generale sull'opera di Mussapi.

La
lingua di Mussapi accenna alla prosa ma sempre se ne distingue, è
racconto epico che propende incessantemente verso una sponda lirica.
La tensione narrativa assume spesso la forma del racconto del mito,
nella duplice direzione del mito antico che si fonde e si confonde
con la nostra vita abituale, offrendole senso ed arricchendo i gesti
di un valore metafisico, ma può anche proporre volti e vicende del
quotidiano, che assurgono alla potenza del mito. Ordinario e
visionario si uniscono per dare vita a un dettato molto equilibrato,
ma capace di produrre quelli che Soyinka definisce “shock
improvvisi”. La lingua della concretezza e del racconto procede di
pari passo con quella della rarefazione e della rivelazione. In
questo senso i punti di riferimento vanno ricercati solo
marginalmente nella tradizione italiana (in particolare in Foscolo),
maggiormente in esempi derivanti dalla letteratura di matrice
anglosassone, come i più volte dalla critica citati Coleridge e
Dylan Thomas, Yeats e i romantici inglesi.
In
Mussapi il mito è naturalmente strumento di conoscenza del mondo, ma
anche rito iniziatico: si può conoscere insomma diventando altro da
quello che si è (il bambino che diventa adulto: non è un caso che
in Le poesie, con una scelta
molto felice, non si distingua tra poesia rivolta agli adulti
e “per l'infanzia”), assumendo altre forme, facendosi
personaggio. Diventare un altro
è premessa alla visionarietà, così come ad uno sviluppo drammatico
della parola poetica, che costringe l'io lirico a presentarsi di
frequente nelle vesti di un io monologante.
Tutto
ciò è la premessa perché la poesia di Roberto Mussapi sia
compassionevole e pietosa, e che dunque miri, come scrive Bonnefoy, a
“levare gli occhi dagli accidenti della propria specifica
condizione per abbracciare con lo sguardo l'intero orizzonte umano”.
Del resto anche la percezione del tempo non è esperienza individuale
in Mussapi e dunque guardare al passato significa aggiungere elementi
di coscienza e consapevolezza collettiva alla durata privata della
percezione temporale. Leggiamo in La canoa,
tratta da La stoffa dell'ombra e delle cose:
“Ricordi il buio, la grotta, la paura, / la paura che ci mutò in
specie, specie abbracciata, / e il fuoco, e oltre il fuoco i primi
confini? // Ricordi come piangevamo vedendo un cavallo, / sentendo
nella sua corsa la forza del dio? / E come volevamo correre in lui, /
e superare la vita, non morire?”.
La
poesia ha anche questo compito: indicare la strada del ritorno, come
scrive acutamente Napoli, che ci permetta di rifiutare e sconfiggere
l'idea del nulla da cui siamo assediati. La poesia di Mussapi,
suggerisce ancora Bonnefoy, possiede quel “genere di verità che
perdiamo sempre di vista, quella che la poesia ricerca per lo più
invano, quella stessa che forse la morte rivela, in modo evidente ma
incomunicabile, perché giunta troppo tardi: e cioè che l'amore, il
semplice amore tra persone, si rivela all'ultimo momento come la sola
verità”. Così l'anima del tuffatore di Paestum, protagonista del
celebre dipinto funerario del V secolo a. C. può concludere in
questo modo il discorso rivolto al figlio: “Ma ora che dormi come
quando in una culla / sembravi cercare i segreti del mondo, / ora che
hai spalle più larghe e più radi i capelli, / ascolta le parole
della mia anima: / non so molto di lei – di me stessa - / (è
presto, figlio, non conosco abbastanza, / ho appena iniziato, sto
nuotando), / non pensare al mio corpo (è tardi, / perle, quelli che
furono i miei occhi, e le mie labbra contratte in corallo), / ma ho
conoscenza del loro matrimonio, / di quando vivevano all'unisono nel
mondo / e io, anima di tuo padre, il tuffatore / ti consegno solo
questa esperita certezza / (dal fondo dell'abisso, nel brivido del
tuffo): / che anche l'uomo può amare eternamente”.
(pubblicato su succedeoggi.it)
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