I ragazzi hanno delle
belle facce, quando si muovono dal banco e vengono verso la cattedra.
Uno alla volta, devono presentare e leggere ai compagni una poesia
che loro stessi hanno scelto. Sono giustamente concentrati, un poco
emozionati. Al di là della finestra finalmente il mondo brilla per
una bella giornata di sole. Risplendono le chiome degli alberi del
giardino attiguo alla scuola. Anche il brutto palazzo di fronte, che
si alza poco austero ma molto invadente dall'altra parte della
strada, sembra meno indifferente alle vicende degli uomini.
Basta però riportare lo
sguardo all'interno dell'aula, spostarlo dai volti degli alunni
all'ambiente che li accoglie, e ci si ritrova subito a lottare con un
senso profondo di tristezza, una cappa grigia che invade lo spirito,
come sono grigi i muri che vorrebbero apparire bianchi, come sono
grigie e impolverate le tende alle finestre, tristi, tristissimi gli
attaccapanni. Il piano della cattedra è rivestito di un materiale
che ricorda la fòrmica, un laminato plastico che negli anni Sessanta
si usava per i mobili di cucina, ma chissà in effetti di che
sostanza si tratti.
Concentrati su altri
problemi, altre mancanze ben più importanti ed essenziali, degli
arredamenti delle nostre scuole si parla poco. Eppure i nostri figli
passano una parte consistente delle loro giornate in ambienti
deprimenti, quando non addirittura opprimenti. Le aule sono brutte,
quasi sempre insufficienti a contenere le persone che vi sono
stipate; i corridoi, cupi e miseri, ricordano quegli degli ospedali
più tristi; i bagni sono inguardabili, tetramente lontani dagli
standard a cui siamo abituati. Dovessimo entrare in un bagno di un
ristorante con queste caratteristiche, ci allontaneremmo subito dal
locale, inveendo contro il gestore.
Ragazzi e ragazze
declamano poesie di Neruda e della Dickinson, di Shakespeare e
Montale, e io sento che i versi appassiscono quando si posano sui
banchi, frenano terrorizzati prima di arrivare alla mezza scatola di
cartone che dovrebbe essere un contenitore per i pennarelli che
servono per scrivere alla lavagna.
L'ora termina. Gli
studenti sono stati bravissimi: sono riusciti a far vivere le parole,
lasciandole sospese a un metro dalle piastrelle fuori tempo dei
pavimenti anacronistici. Vado a ricevere i genitori nell'Aula
Museo.
Si tratta di un lungo
stanzone appesantito da tavoli dal design antiquato e da
scomodi seggioloni, che nessuno vorrebbe più in casa, ingombranti e
sproporzionati come sono. Le tende a liste sono in gran parte
inservibili. Il tutto offre il senso di una sgraziata disarmonia.
La denominazione del
luogo si spiega col fatto che su alcuni ripiani sono conservate
vecchie macchine da scrivere e altri vari attrezzi, calcolatrici col
rullo di carta ad esempio o microscopi, di qualche vecchiume e di
nessun valore. Alle pareti le stampe delle banconote in vigore fino a
qualche anno fa. In una libreria sono ammassate centinaia di
videocassette donate da non so quale istituzione pubblica, ormai
inservibili, visto che manca e non è più in vendita un lettore per
utilizzarle.
In fondo è questa l'aula
centrale della scuola, ma non di questo istituto, proprio di tutta la
scuola italiana, dico al genitore che mi siede di fronte, che per la
verità mi guarda un po' spaventato. E' l'Aula Museo l'anima
della scuola, che ha dilagato con il suo torpore per i corridoi, si è
impadronita delle aule, ha congelato i bagni in un passato
indefinito. Non lo sappiamo ma passiamo le giornate in una
esposizione permanente di anticaglie. Apriamo la bocca per dire di
letteratura e di scienza e le nostre parole diventano già vecchie.
Mostruosamente, appena a contatto con l'ambiente avvizziscono, si
coprono di rughe.
Come non essere d'accordo? Le aule scolastiche di tante scuole sono il riflesso fedele della considerazione e dell'impegno elargiti dallo Stato nella formazione dei giovani. Rotolanti bloccati a mezza corsa da mesi, spazi angusti, neon agonizzanti. In sala insegnant, attigua all'aula museo e arredata nello stesso stile, un'accozzaglia di poltrone di skai sfondate, cassetti personali che scorrono a stento a 30 cm dal pavimento e tavoloni recuperati in qualche ministero rumeno dopo la caduta di Ceaucescu, troviamo un computer per cinquanta persone con un foglietto plastificato "questa postazione multimediale è a disposizione dei Sigg. Insegnanti" ad esaltare la munificenza del nostro Istituto.
RispondiEliminaRecentemente abbiamo avuto per una settimana la visita di delegazioni straniere (Germania, Spagna, Francia) e non oso neanche pensare al ricordo che conserveranno dell'esperienza dal punto di vista estetico. Quante altre generazioni, non dico di alunni perché si rinnovano ogni cinque anni, ma di insegnanti - e lì si parla di decenni, anche in considerazione della via crucis che deve percorrere il neo-abilitato fino alla cattedra di ruolo - si troveranno davanti questa visione deprimente all'ingresso delle otto?
Ma la cosa forse più triste è che gli alunni non ci fanno caso più di tanto. Notano sì l'inefficienza e la bruttura, ma per loro questa condizione è connaturata alla scuola, come le fiamme all'inferno. I più sensibili forse si sentono stringere il cuore certe mattine d'inverno, ma danno la colpa al compito imminente. I più gioviali tentano di alleggerire l'atmosfera con disegnini, foto, o battute infelici dei professori ricopiate con i pennarelli colorati.
Ricordo un'alunna da poco arrivata, che raccontò un giorno, con grande stupore dei compagni italiani, che nella sua scuola in Ucraina i ragazzi stessi facevano a turno le pulizie della propria aula e gareggiavano con le altre classi per renderla accogliente in ogni modo possibile. Perché non chiedere ai nostri alunni come dovrebbero essere le loro aule, magari con un concorso che potrebbe sensibilizzare anche i genitori?
Hai proprio ragione. Che noi siamo assuefatti a questo stato di cose è triste, ma può accadere, ci si abitua a tutto pare; che lo siano i ragazzi è avvilente e contro natura. Non so se ci accorgiamo ancora di come siano brutte le nostre aule o se, come tu dici, l'aspetto mortificante è considerato connaturato alla scuola, "come le fiamme all'inferno". Ricordo che qualche anno fa qualche classe tentò di intervenire con l'esposizione di poster e manifesti. L'iniziativa venne subito repressa: cosa c'entra tutto questo con la scuola?, fu l'immediata reazione. Forse pensiamo che la scuola sia un luogo penitenziale, lo studio solo sofferenza, e dunque questo deve essere chiaro già nell'ambiente, privo di ogni elemento estetico che possa ingenerare distrazione e fraintendimenti.
EliminaComunque è interessante e sarebbe da perseguire l'idea di sensibilizzare gli alunni e i genitori e di coinvolgerli in qualche modo.