E' morto Febo Conti. Per
molti è una notizia priva di significato, a me sembra sia finita
un'epoca. La televisione era in bianco e nero, ai ragazzi era
destinata la fascia oraria pomeridiana (un paio d'ore e non tutto il
giorno: la Tv dei ragazzi, appunto), la parola telefono
corrispondeva ad un apparecchio a muro, immancabilmente nero, ad
altezza di adulto, la cui linea spesso veniva divisa con il condomino
del piano di sotto. Erano tempi insomma di duplex e di poche
telefonate, spesso precedute da richieste accorate perché venisse
resa libera la linea. Esistevano ancora le macchine da cucire e
quelle da scrivere, in cui il suono di un campanellino ricordava che
bisognava andare a capo azionando l'apposita levetta. Il latte si
comprava in latteria, restituendo una bottiglia (di vetro) vuota in
cambio di quella piena.
Febo Conti diventò
familiare nelle case degli anni Sessanta, perché presentava il
programma Chissà chi lo sa?. Due squadre di ragazzi si
confrontavano in una gara. Non cantavano canzoni imitando gli adulti,
non ballavano, non raccontavano barzellette né confessavano i fatti
propri, non erano futuri calciatori. Erano ragazzi come tanti altri,
che rispondevano a domande alla loro portata, dimostrando soltanto di
essere andati a scuola la mattina e di avere un po' di intuito.
Febo Conti tra i ragazzi a Chissà chi lo sa? |
La scenografia del
programma era semplicissima, su tutto campeggiava un grande punto
interrogativo. La sigla cominciava così: “Ma chissà chi lo sa
dove è nato Ali Babà, ma chissà chi lo sa dove vive Mustafà”.
Non sono versi da ricordare, ma danno l'idea dello spirito del tempo.
I presentatori avevano tutti un'espressione che li caratterizzava,
Cari amici vicini e lontani..., Allegria! Quella di Febo
Conti, pensate un po', era Squillino le trombe, entrino le
squadre, una cosa a metà tra il libro Cuore e una
rappresentazione di pupi siciliani.
Febo Conti vestiva sempre
in grigio, non urlava, salutava i ragazzi stringendo loro la mano.
Anche oggi abbiamo un
Conti presentatore (Carlo). Ma la sua televisione è a colori, lui è
sempre abbronzato e occupa la schermo tutte le sere. L'altro Conti,
quello vero (Febo, che nome!), si aggirava pallido per lo studio
disadorno. E solo il sabato pomeriggio.
Ti sono grato per aver segnalato questa notizia che, come a me, penso sia sfuggita a molti; anche se spesso si corre il rischio di passare per un “laudator temporis acti”, penso che il ricordo ancora vivo e, soprattutto il rimpianto, in tanti di noi, di programmi come Chissa chi lo sa è la dimostrazione di quanto, poi, sia stato degradante dal punto di vista sociale e culturale l’evoluzione della nostra società; oggi un programma in cui non vi sia mercificazione e distribuzione materiale di denaro, non avrebbe alcun successo; quei ragazzi, invece, pur sapendo che non avrebbero vinto nulla, tranne qualche libro, nemmeno per sé, ma per la biblioteca della loro scuola, erano mossi dall’orgoglio di partecipare e di battersi, facendo sfoggio di un campanilismo sempre corretto e dai toni sempre misurati, solamente con l’intento di dimostrare il "primato culturale e l’orgoglio di appartenenza", ormai scomparso, alla propria scuola. Oggi di fronte alle risse sguaiate, alla consuetudine invalsa che alzando la voce e prevaricando l’altro si possa contare di più ed ottenere successo, di fronte alla volgarità dilagante e gratuita, sentiamo di amarli quei ragazzi dal viso pulito e gli occhi ingenui, compunti, educati, vestiti in modo sobrio, che, mai sopra le righe, si consultavano facendo capannello in silenzio e si presentavano lì col solo fine di condividere con gli altri il loro pur piccolo bagaglio culturale.
RispondiEliminaDa esporre in un museo, in una sala dedicata al "pre-individualismo".
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