Perché
in Finlandia? Facile: perché la scuola finlandese da anni risulta
tra le prime nel mondo per i risultati che riesce ad ottenere.
Secondo
i dati dello studio Pisa (Programme
for international study assessment)
i ragazzi finlandesi sono in possesso di una migliore preparazione
rispetto a quella dei loro coetanei degli altri paesi.
Ma non è il primo posto che mi interessa. Piuttosto mi piacciono
alcune scelte didattiche, che mi farebbero sentire a mio agio e che
credo sarebbero utili per far crescere la scuola italiana.
Innanzitutto
gli studenti finlandesi risultano avanti agli altri nei test Pisa, ma
la loro scuola non è per niente basata su test e questionari. Non ci
vuole molto a capire che uno studente risponde a un quesito se ha
delle conoscenze che glielo permettono (e se la domanda è formulata
in maniera corretta). Insomma bisogna sapere per rispondere bene.
Cosa sta accadendo invece in Italia? I famigerati test Invalsi (ci
sono, non ci sono, valgono a qualcosa, no non valgono a nulla...)
hanno creato una reazione a catena che spinge gli insegnanti a
preparare gli alunni ai test. In altre parole si perdono di vista le
conoscenze di fondo, e l'insegnamento che dovrebbe assicurarle, si
dimentica l'obiettivo di ogni percorso didattico, che dovrebbe essere
sempre quello della crescita culturale e sociale degli alunni, per
concentrarsi sulla capacità di reazione positiva ai test. Insomma
finisce che importa di più dare una risposta corretta sul
congiuntivo rispetto a saperlo usare, la norma invece della valenza
formativa delle conoscenze.
Un'immagine tratta dal film "Gli anni in tasca" di F. Truffaut |
In
Finlandia non si boccia, in quanto il percorso di insegnamento è
modulare e chi non ha raggiunto gli obiettivi in quel determinato
modulo, ripete solo quello e non l'anno intero. I conti si fanno in
fondo, comunque, nel diverso punteggio di uscita dalla scuola. Sembra
la scoperta dell'acqua calda, eppure per arrivarci c'è bisogno di
rinunciare a un assunto, ancora molto presente da noi: cioè che la
scuola debba risultare in qualche modo punitiva, che una scuola seria
non è quella che mette tutti gli studenti nelle condizioni di
apprendere, ma quella che appare selettiva.
Un
buon insegnante, per esempio, nella nostra scuola è ancora per molti
(non certo per gli alunni, non sempre per le famiglie, che badano di
più ai risultati) quello che incute timore, che non si mette in
discussione di fronte alla classe, che considera il sapere come un
bagaglio acquisito per sempre. In Finlandia gli insegnanti (che hanno
un notevole riconoscimento sociale) sono scelti dalle scuole e dai
comuni, vengono valutati dai presidi, sulla base dei concreti
risultati del processo di apprendimento. Ma soprattutto la scuola
finlandese non ritiene che la giornata scolastica si svolga su un
campo di battaglia dove si fronteggiano eserciti nemici. L'atmosfera
è rilassata e non prevede atteggiamenti rigidi di controllo:
l'obiettivo non è infatti quello di difendersi o di punire, ma di
sviluppare negli alunni atteggiamenti autonomi e responsabili.
A
me basterebbe questo per dire che vorrei andare a insegnare in
Finlandia. Semmai letteratura italiana.
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