Confesso: ho cercato
sull'atlante, come si faceva una volta. Voglio la concretezza del
foglio di carta, dei colori, il verde per le pianure, il marrone per
le montagne, gli stessi di quando frequentavo le elementari. Voglio
essere sicuro che sia proprio lì, dove ricordo. In Italia, a un
passo dal Mediterraneo, ma nemmeno troppo lontana dal cuore moderno
dell'Europa. Pontremoli in effetti è dove è sempre stata, in
Lunigiana, tra Toscana e Emilia, uscita dell'autostrada A15, che da
La Spezia porta a Parma.
In una classe di
Pontremoli sono stati bocciati cinque ragazzi. Non sarebbe una gran
notizia, se non fosse che si tratta di una prima elementare. Due
italiani (uno disabile), tre figli di stranieri. Così sottolineano i
giornali (che, in verità, parlano, forse più precisamente, di “tre
stranieri”). Una scuola che costringe l'informazione a prodursi in
una classificazione di questo genere ha già fallito. I cinque
bambini sono stati bocciati due volte: lo scrutinio finale infatti è
stato ripetuto su richiesta del Ministero.
E' stato presentato un
ricorso al Tar, insomma ci sarà una battaglia legale, e qualcuno
alla fine si pronuncerà sulla correttezza formale delle bocciature.
Ma il problema mi pare sia un altro. E riguarda, più in generale, la
scuola e l'idea di formazione degli studenti (e di educazione, parola
oggi in disuso) che ne è alla base.
Il preside dell'istituto
che ha bocciato i cinque
bambini dichiara oggi a Quotidiano.net
che le motivazioni della non ammissione sono da ricercarsi nel
“mancato
raggiungimento degli obiettivi minimi di apprendimento,
scrittura, lettura e calcolo”, ma ha anche influito “la poca
maturità riscontrata
negli alunni”. Su La
Repubblica
leggo invece che in un dettato svolto a maggio nella prima A sono
risultati “insufficienti” il 41 per cento degli alunni, nella
sezione B il 65 per cento. Verrebbe fatto di pensare che forse gli
obiettivi minimi erano sbagliati e che la parola insufficiente
affibbiata ai compiti di alunni di una classe prima non sia la più
adeguata. Mi verrebbe da dire che una scuola che cerca la maturità
in bambini di sei anni ha forse poco compreso il proprio ruolo e i
propri compiti, che sono appunto quelli di aiutare gli alunni a
crescere e a maturare, e non a giudicare il grado di maturità di
chi, per definizione, non può essere ancora maturo. Ma forse la
penso così solo perché credo che la scuola debba comprendere prima
di misurare freddamente, essere disponibile al dialogo invece che
arroccarsi dietro formule distanti e spesso vuote di significato, e
oggi invece si tende a voler dimostrare che la scuola è innanzitutto
luogo austero e irto di difficoltà, scambiando l'intransigenza per
autorevolezza.
Il
dirigente scolastico tiene anche a sottolineare (la fonte è ancora
Quotidiano.net) che le insegnanti, “riconfermando la decisione già
assunta per il bene degli alunni, hanno dimostrato grande serietà e
deontologia professionale”.
Non
avevo dubbi. Il richiamo alla serietà lo aspettavo. Nella scuola
degli ultimi anni “serietà” è parola ricorrente. Ma quando è
che un insegnante e la scuola con lui dimostrano “grande serietà”?
Quando si boccia, sembrerebbe. Serietà è spesso sinonimo si
selezione e di distinzione, di rigidità e durezza. Ma è più seria
la scuola che guarda davanti a sé e continua imperterrita il suo
percorso verso il raggiungimento degli obiettivi (spesso sempre gli
stessi, anno dopo anno), anche se buona parte dei suoi studenti non
riesce a raccogliere la sollecitazioni, o quella che prova a far
crescere tutti i ragazzi che le sono affidati, che si guarda intorno
e ammette, quando è il caso, anche i propri sbagli?
Va da sé: la decisione
della non ammissione alla classe seconda elementare è stata assunta
“per il bene degli alunni” e dunque tutto questo discorso si
vanifica. Infatti, come dice la legge, “nella
scuola primaria i docenti, con decisione assunta all’unanimità,
possono non ammettere l’alunno alla classe successiva solo in casi
eccezionali e comprovati da specifica motivazione”
(art.
3 legge 169/2008).
E qui, diciamolo, qualcosa di eccezionale sicuramente c'è. Ma non
riguarda i cinque bambini di Pontremoli.
ma gli obiettivi minimi i bambini dovevano raggiungerli da soli? e se dovevano raggiungerli grazie agli insegnanti bocciatura anche agli insegnanti, certo
RispondiEliminaIl mio professore di pedagogia all'università, tale Aldo Agazzi, diceva: l'insegnante che boccia boccia se stesso. Questo non gli impediva di far fuori, ad ogni sessione, il trenta per cento degli esaminati.
RispondiEliminaCondivido in pieno i giudizi espressi nell'articolo e la sottesa indignazione, indignazione che purtroppo provo quasi quotidianamente trovandomi a sostenere moralmente e psicologicamente la mia compagna, insegnante alle medie inferiori.
Temo che il problema non sia legislativo o organizzativo, bensì morale e culturale. Dai tempi del "sei politico" ad oggi la scuola veleggia in un assoluto vuoto di consapevolezza. E i dirigenti? Secondo me il primo esame che fanno è un test del QI: se sono SOPRA un certo standard non sono ammessi ai concorsi.