I bambini riescono a
costruire un rapporto diretto con la poesia, per la quale manifestano
attitudine e capacità di comprensione che potremmo definire fisiche.
Infatti le costruzioni linguistiche proprie del linguaggio dei versi
“sgorgano in loro spontaneamente”. Non appena però la poesia
approda alla scuola secondaria, “diventa disciplina, programma
obbligato e svogliatamente svolto, materia museale, storia della
poesia”. Allora il rapporto si incrina, spesso irrimediabilmente, e
“quella spinta giocosa e istintiva impallidisce e declina, diventa
peso, fatica, archeologia del linguaggio, modo ampolloso e complicato
di ornare concetti semplici”.
A partire da queste
riflessioni si sviluppa il primo capitolo di La poesia
contemporanea, il libro del poeta e critico letterario Alberto
Bertoni appena pubblicato per i tipi de Il Mulino. La questione
dell'insegnamento della letteratura e della poesia, in particolare
nelle scuole secondarie, è in effetti l'inevitabile punto di avvio
di ogni discorso che voglia analizzare il posto che occupa la poesia
nella percezione sociale. Ne ho spesso parlato in questo blog, in
quanto ritengo che oggi i poeti non possono continuare a considerare
il problema della fruizione della poesia (e quello, per così dire ad
esso associato, dell'assenza di lettori) come non degno di una loro
attenta valutazione, una problematica che tende cioè a sviarli da
altre e ben più significative meditazioni.
Alberto Bertoni con la
consueta chiarezza sviluppa un accurato ragionamento, assolutamente
necessario se si vogliono poi approfondire altre questioni di natura
più squisitamente critica sulla presenza della poesia nella società
contemporanea.
Sta di fatto che quando
agli insegnanti si chiede di fare il nome di un poeta dei nostri
giorni, fa seguito solitamente un silenzio deciso, nemmeno tanto
imbarazzato. E' evidente dunque che “il venir meno della coscienza
e della cognizione dell'esistenza e della necessità di una poesia
contemporanea, oggi in Italia, concerne e coinvolge il corpo docente
molto più e molto prima di quello discente”.
Una nebbia diffusa
nasconde, agli occhi della maggior parte degli abitanti del nostro
paese, anche di coloro che a vario titolo si occupano di argomenti
culturali, l'esistenza di una poesia dei nostri giorni. Le cause
vanno cercate certamente nella progressiva incapacità,
particolarmente evidente nelle generazioni più giovani, di trovare
piacere nella lettura concentrata e solitaria, ma anche in una sorta
di venir meno di quella che Bertoni giustamente definisce la
destinazione sociale della poesia. La poesia infatti può
presentarsi in maniera complessa e profonda, ma non può rinunciare
alla sua natura comunicativa, la sua parola è “condannata a
svanire subito, se non raggiunge l'Altro”. “Aborrisco – scrive
Bertoni – un'idea chiusa della poesia: l'idea di un'operazione
segreta, misticheggiante, limitata alla setta degli 'eletti',
autoreferenziale”.
Del resto se anche siamo
di fronte ad un “analfabetismo di ritorno indotto dagli abusi
mediatico-televisivi e da un potere che, anche nelle nostre
democrazie occidentali, favorisce e provoca in tutti i modi gli
esercizi più perfidi e subliminali di distrazione collettiva”, è
altrettanto vero che “la poesia – se trasmessa con competenza e
passione – può essere un genere tutt'altro che estraneo alle nuove
modalità recettive”. Perché la nostra società si riappropri
delle sue voci poetiche è necessario che l'insegnante sia egli
stesso, in primo luogo, come lo definisce Bertoni, un “Lettore
autentico”. Credo inoltre che un ruolo importante potrebbe
spettare agli stessi poeti, se solo avessero voglia di mettersi
maggiormente in gioco e di proporsi come interlocutori delle
istituzioni scolastiche. Nelle scuole secondarie si assiste oggi a un
paradosso: nei primi anni si parla di poesia forse più di qualche
anno fa, ma si riduce l'attenzione a una fredda, e spesso
inconcludente, analisi di figure retoriche, a una scomposizione
meccanica, che si conclude inevitabilmente con un questionario a
punti. Si privilegia poi un approccio del tutto cronologico, che
tende a inserire i singoli autori (di cui si leggono pochissimi
testi) in una dimensione storica. E la storia, per quanto riguarda la
poesia, si conclude con Montale. Il resto è avvolto nella nebbia, da
cui emerge qua e là qualche nome, a volte, se si ha fortuna, qualche
verso.
La poesia rimane così spesso lontana dalle aule scolastiche.
Io ho fatto leggere in seconda liceo "T.S." di Milo De Angelis.
RispondiEliminaLo abbiamo analizzato e spiegato insieme, e alla fine è piaciuto. E ho buoni motivi per credere che non l'abbiano detto per pura compiacenza.
Insomma, insegnare poesia è possibile, e anche farla comprendere. Persino a scuola.