La rivista Poesia di questo mese contiene alcuni testi di Ana Luisa Amaral, preceduti da un colloquio della poetessa portoghese con la sua traduttrice Livia Apa. Ripropongo la mia recensione (pubblicata su LaRecherche.it) all'unico libro della Amaral finora edito in Italia.
Cosa
può accadere se davanti agli occhi si presenta la vista di un
comignolo, un semplice, per nulla straordinario comignolo, che ha
l'unica qualità di stagliarsi netto, “ritagliato / nel grigio di
una notte di luna / mal cresciuta”? Che cosa fare davanti a un
comignolo che sembra “un quadro mezzo fiammingo o quasi”? La
risposta di Ana Luisa Amaral è sicura, senza alternative: “che
altro, se non scrivere?”.
Ana Luisa Amaral |
E
cosa altro chiedere alla vita, riflette ancora la Amaral, se il
comignolo libero sulla casa suggerisce ipotesi di “conforto,
abbandoni e sonni di tenerezza”? In questo comignolo, protagonista
della poesia “La fiamma dell'arrivo”, contenuta nel volume
antologico La
scala di Giacobbe,
in un oggetto così solitariamente indifferente eppure così
partecipe ai casi della vita, può considerarsi riposto
emblematicamente il rapporto che la poesia della Amaral costruisce
con la realtà e le sue piccole, apparentemente inutili,
manifestazioni quotidiane. Le cose sono lì in attesa di confessarci
la loro verità, suggerire una soluzione, strabiliarci con la loro
presenza, insieme così ordinaria e così rara. E allora cosa è
possibile fare di fronte al comignolo, “se non cantarlo in rima mal
curata, / se non voltarlo in nido di parola / e cullarlo tra mille
profumi?” La poesia è dunque lo strumento per offrire un nido alle
rivelazioni. Del resto le cose sono lì, in una condizione di attesa,
pronte a diventare verso e musica. La realtà, anche quella più
estranea e distante, nella poesia della Amaral finisce per essere
coinvolta nei nostri destini, anzi spesso si manifesta come lo
strumento che permette l'accesso ai nostri destini e la loro
comprensione.
La
scala di Giacobbe
permette un percorso nella poesia di Ana Luisa Amaral, a partire dal
suo primo libro Minha
Senhora de Quê
del 1990 fino alle liriche scritte nel 2005, attraverso raccolte che
hanno goduto di grande interesse in Portogallo, quali Epopeias
del 1994 o Ás
vezes o Paraíso
del 1998 o ancora Imagens
del
2000.
La Amaral è una delle voci più rappresentative della lirica
portoghese contemporanea. E' nata nel 1956 a Lisbona, ma si è
trasferita presto a Oporto, dove attualmente vive, insegnando
Letteratura inglese e americana nell'Università della stessa città.
Studiosa in particolare della poesia di Emily Dickinson, Ana Luisa
Amaral ha pubblicato numerose raccolte di versi. Tradotta in varie
lingue, per la prima volta la sua opera viene pubblicata in italiano,
grazie all'amorevole e rigorosa cura di Livia Apa, docente di lingua
e letteratura portoghese all'Università L'Orientale di Napoli, da
anni impegnata nel tentativo di far conoscere nel nostro paese le
opere della vivace letteratura di espressione portoghese. In questo
caso, Livia Apa entra in perfetta sintonia con la scrittura e con le
intenzioni della Amaral, offrendoci una traduzione rispettosa e senza
sbavature, capace di recuperare appieno la carica immaginifica e
insieme la concretezza della lingua della Amaral.
Con
lo sguardo attento alla tradizione occidentale, particolarmente a
quella anglosassone, la scrittura della Amaral si muove appunto
utilizzando una lingua quotidiana con accenti quasi prosastici, che
erompe però continuamente in un lirismo evocativo e sognante. Ne
deriva un linguaggio pacato, senza cedimenti, che si concede a scarti
linguistici mai gratuiti, ma che permettono imprevisti scivolamenti
del significato. E' quanto suggerisce Livia Apa, nella nota
introduttiva, quando parla di un lessico che “sfonda” la
semantica col fine di “traghettarla verso altri possibili sensi”.
E' così che gli oggetti diventano il tramite di interrogazioni e
perplessità, di repentine scoperte e di angosciate sospensioni.
Basta
a tale proposito l'esempio della poesia “Metamorfosi”, con un
incipit subito spiazzante: “Non in un bar della Kashbah, ma in un
caffè / di Leça da Palmeira (piccola città al nord / del mio
paese), la tua voce qui mi porta lì”. La metamorfosi è dunque
quella della cittadina del nord portoghese, che diventa città
nordafricana, un bar con tutt'altra atmosfera, perso in una
dimensione di qualche decennio fa. Nel bar una voce (“la tua voce”)
finisce per evocare le immagini di un film in bianco e nero,
pellicola di culto, così come famosissime sono la canzone che muove
la vicenda e la frase (“Suonala ancora, Sam”) che serve a
richiamarla. A partire da questa trasposizione di un luogo in un
altro, a sua volta rievocato dalle scena di un film notissimo come è
appunto Casablanca,
alla poesia tocca “inventare a Leça da Palmeira / nel mezzo della
nebbia così immensa, / uno sguardo teso che si traveste blando / (un
pozzo di desiderio, e una ventola / in un aereo di stupore)”. La
lingua della Amaral, proprio la lingua e non solo i significati che
essa veicola, si muove continuamente tra l'immagine concreta e
quella sognata, proiettata verrebbe da dire, in una continua armonica
oscillazione. “Lasciare accanto al verso la promessa del nulla /
che non c'è stato, ma siede al piano / ripete, come in sogno, la
stessa melodia // - tradotta in inglese: suonala ancora, e ancora /
che non c'è Kashbah qui, ma poteva / essere proprio la tua voce (in
un registro / finale)”.
Il
titolo del volume, La
scala di Giacobbe, fa
riferimento all'episodio biblico per cui Giacobbe sognò una scala
che da terra si protendeva fino in cielo, continuamente percorsa
nelle due direzioni da angeli, che nel caso del libro in questione
diventa emblematica oscillazione appunto tra rarefazione e
concretezza, spinta al divino e ancoraggio alla quotidianità. Il
mondo rappresentato dalla Amaral contiene un'idea della poesia che,
come scrive Apa, nasce dalla “intuizione del sublime nelle piccole
cose”. Sta di fatto che cielo e terra non spiegano l'esistenza, non
danno risposte definitive. C'è solo la parola a dare un senso al
percorso, a ordinare gli oggetti, la parola che riesce a dire
l'amore. In una delle ultime poesie del volume, “Un poco solo di
Goya: lettera a mia figlia”, Ana Luisa Amaral ricorda quando la
figlia, ancora bambina, diceva “che la vita è una fila”: “Nella
metafora creata / dall'infanzia, chiedevi dello stupore / del morire
e del nascere e di chi seguiva / e perché si seguiva, o della totale
assenza / di ragione di questa catena in sogno di gomitolo”. A
distanza di anni la poetessa vorrebbe dire una parola di conforto,
trovare un antidoto che liberi la figlia “in volo, come una fata,
sulla fila”. Ma la forza morale della poesia è anche guardare in
faccia la realtà con la sofferenza delle sue contraddizioni. “Ma
siccome ti amo non posso farlo, / e in questa notte calda che strappa
giugno, / voglio dirti della fila e del gomitolo, / e dei modi di
amare tutti diversi, / ma fatti di piccoli suoni di stupore, / se il
giusto e l'umano ci si abbracciano”.
Questo
libro ha il merito di farci conoscere una delle voci più
interessanti dell'attuale panorama poetico portoghese.
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